17 Luglio 2013, 10:30
6 min di lettura
PALERMO – C’è un luogo della Sicilia nel quale le parole “formazione”, “famiglia” e “politica” fanno magicamente rima. E la politica, in questo caso, è declinata in tutte le sue forme. Già, perché il “caso” che riguarda i due big del Partito democratico Francantonio Genovese e Franco Rinaldi non è l’unico, sullo Stretto. Anzi. Mentre sui media rimbalza la notizia dell’indagine a carico dei due notabili democratici, ecco che va avanti un altro procedimento. Quello che coinvolge Elio Sauta, presidente dell’Aram ed ex consigliere comunale del Pd, e Melino Capone che fu commissario dell’Ancol e assessore della giunta di Giuseppe Buzzanca. Quest’ultimo, per intenderci, non è indagato. Ma gli intrecci familiar-politici negli enti di formazione riguardano anche l’ex primo cittadino e deputato regionale. Una “Dynasty”, insomma, in salsa messinese. Persino difficile da ricostruire. Ci proviamo.
Partendo dagli ultimi casi. Quelli di Genovese e Rinaldi, indagati per associazione per delinquere, peculato e truffa. L’accusa, secondo quanto trapela, sarebbe quella di aver usato per altri scopi i finanziamenti destinati alla Formazione. L’inchiesta riguarda i finanziamenti per la formazione professionale per il periodo che va dal 2007 al 2013. Gli investigatori stanno cercando di fare chiarezza sui corsi organizzati da enti professionali legati ai due parlamentari e su compravendite o cessioni di rami d’azienda tra questi enti.
Accuse tutte da dimostrare, ovviamente. E i diretti interessati, appena appresa la notizia, hanno manifestato la propria fiducia negli inquirenti. “Sono a disposizione dei magistrati – ha detto Rinaldi – per fare chiarezza in merito a quanto mi viene addebitato attraverso la comunicazione di proroga delle indagini nei miei confronti. Certo di avere sempre operato nel pieno rispetto delle regole e della legalità sono pronto a chiarire qualsiasi fatto contestatomi”. Dello stesso tenore le parole del parlamentare nazionale ed ex sindaco: “In riferimento alla comunicazione di proroga delle indagini emessa dal gip del Tribunale di Messina nei miei confronti, – ha dichiarato Genovese – mi preme oggi sottolineare l’assoluta fiducia nell’operato della magistratura. La giustizia farà il suo corso e sono certo di potere dimostrare la correttezza della mia posizione. Con serenità affronto quindi questo momento, con la consapevolezza che le tutele garantite dal nostro ordinamento giudiziario a chi è indagato mi consentiranno di chiarire ogni aspetto della vicenda. Resto quindi a disposizione della magistratura sin da subito al fine di potere sgomberare il campo da qualsiasi ombra che riguarda il mio operato e contribuire, con le mie dichiarazioni, a chiarire il quadro dell’inchiesta”.
Ma nel Pd ecco riemergere la “questione morale”. Visto anche il coinvolgimento, nell’inchiesta, di Concetta Cannavò, attualmente tesoriere del Partito democratico di Messina. E “a caldo”, non sono mancati gli interventi “istituzionali”, come quello del presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone che ha parlato, a proposito della Formazione siciliana, di “settore da azzerare”. O del presidente della Regione Rosario Crocetta, che ha ricondotto proprio all’intreccio familiar-politico i veri “guai” degli enti. Al punto da caldeggiare la discussione, in Parlamento, di un ddl contro le incompatibilità: “Il governo – ha detto il governatore – ha trasmesso il ddl all’Ars il 14 dicembre scorso, è un disegno di legge molto dettagliato quello sulla trasparenza e le incompatibilità, approvato nel dicembre scorso dalla giunta e trasmesso immediatamente all’Assemblea Regionale Siciliana. Con tale disegno di legge si prevede l’incompatibilità e persino l’ineleggibilità per i deputati che hanno contratti di appalti o concessioni di lavori con la Regione, la norma si estende anche a figli, mogli, parenti e ai prestanome. Con tale ddl potrebbero essere evitate tante inchieste giudiziarie e sarebbe chiaro a tutti che chi fa il deputato o l’assessore deve scegliere se fare politica o business”.
Intanto, di questa inchiesta si saprà qualcosa di più nelle prossime settimane. Quello che però salta all’occhio dai primi elementi “ufficiali”, quelli riguardanti, insomma, il nome degli indagati è appunto il filo “rosso” che lega i protagonisti. I rapporti di parentela diffusi e ampi. L’ente Lumen era presieduto, fino a poco tempo fa, da Elena Schirò, moglie del deputato regionale Rinaldi. “Mia moglie – spiegò Rinaldi nei giorni della polemica innescata da un servizio di ‘Report’ – gestisce l’ente da prima che io iniziassi a fare politica. Le ho comunque chiesto di lasciare l’incarico e l’ha fatto”. La Training Service, invece, ha annoverato, tra i soci, almeno fino al novembre del 2012 altre due società: la la Geimm (al 46%) e la Gefin (al 47%). Della prima, era socio Rinaldi, della seconda Genovese. E tra i soci della Geimm, ecco spuntare un altro degli indagati: Marco Lampuri. Nipote di Genovese.
E a proposito di parenti, la Nt soft in passato è stata riferibile a un altro nipote di Rinaldi e Genovese, Salvatore Davì. Davì era il rappresentante della società, che annoverava in qualità di “socio accomandante”, almeno fino al novembre del 2012, la Training service. Un cerchio che si chiude. L’Esofop, invece, ente adesso sciolto, è stato guidato da Giovanna Schirò, cognata sempre del deputato Pd (che non risulta tra gli indagati nell’inchiesta che riguarda i due big democratici), così come Chiara Schirò che faceva parte del cda. Quest’ultima, indagata anche lei insieme alla sorella Elena, è moglie di Genovese.
Moglie di un ex sindaco di Messina, invece, è Daniela D’Urso. In questo caso, il “marito illustre” è Giuseppe Buzzanca, ex deputato regionale. L’ente interessato dal presunto caso di parentopoli, in questo caso, è l’Ancol, “un ente – precisava Buzzanca alcuni mesi fa – presso cui mia moglie ha prestato la propria attività dal 2005 (a quel tempo non ero né deputato, né esercitavo incarichi pubblici) e che non è riconducibile, in alcun modo, alla mia persona, non essendone proprietario, né socio occulto. Nell’estate scorsa, pur consapevole di danneggiare la legittima aspirazione lavorativa di mia moglie, le ho chiesto di rinunciare. Il rapporto di lavoro, pertanto, è stato interrotto”. A dire il vero, però, fino al dicembre scorso, il nome di Daniela D’Urso figurava ancora tra quelli dei dipendenti degli enti in possesso dell’assessorato Formazione. E a guardar bene, da quell’elenco ecco saltare fuori anche il nominativo di Matilde Buzzanca, sorella dell’ex deputato regionale. Ma l’Ancol, ha precisato Buzzanca, “non è riconducibile” alla persona dell’ex sindaco.
Certamente, però, è riconducibile alla persona di un assessore dell’ex sindaco. Melino Capone, ex commissario regionale dell’Ancol, è accusato dalla Procura di Messina di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Di pochi mesi fa, come racconta il sito “Messinaoggi.it”, è l’avviso di proroga delle indagini che coinvolgono anche il presidente di un altro ente di Formazione: l’Aram. In particolare, tra gli indagati figura il presidente Elio Sauta, un ex consigliere comunale del Pd, insieme alla moglie Graziella Feliciotto (Sauta è stato anche tra i consiglieri dell’Esofop, l’ente, come dicevamo, guidato in passato dalle cognate di Genovese).
I riflettori della magistratura furono accesi sull’Ancol, invece, per accertare la legittimità dei finanziamenti ottenuti dalla Regione, per 13 milioni e 600mila euro, dal 2006 al 2011. Melino Capone fu ufficialmente commissario dell’ente fino al 2006. Da quel momento in poi, nonostante la carica gli fosse stata revocata, avrebbe proseguito nel ruolo di commissario. Secondo l’accusa, avrebbe anche provveduto a “sistemare” parenti ed amici. Tra questi, il padre Giuseppe Capone, la madre Rosaria La Scala, il fratello Natale, e la moglie di quest’ultimo, Loredana Pagano, oltre a qualche cugino. Perché a Messina, più che altrove, le parole “famiglia”, “formazione” e “politica” fanno magicamente rima.
Pubblicato il
17 Luglio 2013, 10:30