21 Giugno 2016, 06:00
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PALERMO – L’impressione è che si tratti solo dell’inizio. Dell’alba di una vittoria che presto potrebbe assumere dimensioni assai maggiori dell’attuale. I successi del Movimento cinque stelle alle ultime elezioni in Sicilia lasciano sul campo diversi sconfitti. In molti casi già chiaramente al tramonto di una esperienza politica. E il futuro, per questa politica alla quale i siciliani sembrano aver voltato le spalle, presto potrebbe essere ancora più nero.
Crocetta e il suo Megafono sono stati cancellati da queste elezioni comunali. E col governatore, la sua maggioranza. Che sua, in realtà, non è mai stata. Divisa, litigiosa, ha sempre dato l’idea di una coalizione dall’equilibrio precario, pronta a scollarsi alla prima brezza. A cominciare dal Partito democratico, che di questa alleanza dovrebbe essere guida, e che si è trovato non solo battuto spesso e volentieri, ma già nel bel mezzo della solita, prevedibile “resa dei conti” tutta interna. E altrove, a guardar bene le forze che sostengono questo governo regionale, la cui inconcludenza è stata messa a fuoco dai recenti incendi, non è che si stia meglio. Anzi. Il partito di Angelino Alfano si è disperso persino tra le vie della sua provincia, quella agrigentina. Con lui, il suo presunto compagno, quell’Udc che nel frattempo ha azzerato i vertici, vive una scissione “atomica” e nomina un nuovo segretario. E non molto meglio, nonostante le promesse offerte dal primo turno del voto, è andata a Sicilia Futura, la “pararenziana” forza di Totò Cardinale, che alla fine dei giochi scopre di aver vinto solo quando ha corso insieme al centrodestra.
E anche da quella parte, poi, non è facile trovare un vincitore. Se si esclude il deputato Gino Ioppolo, vincitore a Caltagirone, nel segno di Nello Musumeci, che può rivendicare anche il successo di Giovanni Moscato a Vittoria. Per il resto, impossibile trovare facce felici in un centrodestra nel quale tutti urlano: “Vinciamo se restiamo uniti”, per poi andare ciascuno per conto proprio.
È piena di facce e nomi, quindi, la pagina dell’atlante dedicato agli sconfitti di queste elezioni amministrative. Elezioni che a Giarre presentavano al ballottaggio, al fianco della candidata Tania Spitaleri, il residuo di ciò che fu il Megafono di Crocetta. Un movimento che avrebbe dovuto rivoluzionare la Sicilia, ma che si è sgonfiato, insieme alla credibilità del suo fondatore, giorno dopo giorno. Insieme alla diffidenza cresciuta tra i siciliani per quelle forze politiche fondate solo su un’identità sbirresca, ma del tutto incapace di amministrare persino un condominio. Un fallimento così chiaro, da spingere anche dei deputati in qualche caso “miracolati”, a prenderne le distanze, snobbando quella forza ormai senza forza. E preferendole addirittura la nostalgica riedizione, pensate un po’, del partito socialista, nonostante le provenienze più disparate: da quella del Movimento cinque stelle di Antonio Venturino, finendo alla questura di Gela da cui è giunto Antonio Malafarina.
Addio Megafono, quindi. Cancellato anche da quel voto che ha ridimensionato, ancora una volta, il Partito democratico. Lontani, lontanissimi sembrano ormai i fasti delle elezioni europee. Quelle che legittimarono la supremazia di Matteo Renzi, anche nell’Isola, tramite la longa manus sul governo regionale di Davide Faraone e dei suoi assessori-luogotenenti. Ma il Pd, nei nove comuni al ballottaggio ha finito per portare a casa solo Canicattì e Noto. Non proprio un bottino ricchissimo. Soprattutto se si pensa alle divisioni che hanno portato, a Vittoria, al ko dell’ex Ds Francesco Aiello, e alle sconfitte sonore a opera dei grillini sia a Porto Empedocle che a Favara.
In quest’ultimo Comune, poi, a uscire con le ossa rotte non è solo il Pd, ma l’idea stessa di quell’asse con i moderati, voluta, sospinta, difesa dal segretario regionale Fausto Raciti. Quella sconfitta, insomma, è anche sua. Anche. Perché nemmeno la perentoria visita in Prefettura è riuscita a rammentare agli elettori di Angelino Alfano di votare per il candidato del Nuovo centrodestra. Un “partito” quasi sempre camuffato da simboli “civici”, nel corso di queste amministrative, ma in qualche caso capace persino di dividersi. Proprio a Favara, ad esempio. Nonostante in questi mesi gli alfaniani, seguendo il modello romano (ovvero più poltrone che elettori) avesse sposato anche l’esperienza del governo Crocetta piazzando in giunta l’assessore ai Beni culturali Carlo Vermiglio. Niente, nemmeno questo ha rivitalizzato un partito che anche in Sicilia, ormai, è destinato al prefisso. Nonostante quel tentativo, già naufragato probabilmente, di alleanza con l’altro alleato di Crocetta: l’Udc è esploso, nei pochi pezzi che lo componevano.
Ma adesso a saltare in aria si prepara – immancabile appuntamento – il Pd. E non servirà, per innescare il meccanismo, alcun lanciafiamme. Proprio il giorno dei risultati, l’assessore alla Formazione Bruno Marziano, area (ex) Cuperlo, ha infatti aperto le ostilità chiedendo l’azzeramento della giunta di Siracusa. Un colpo dritto al cuore del renzismo, rappresentato da uno degli amministratori più vicini al sottosegretario Davide Faraone, ovvero il sindaco Giancarlo Garozzo. Per lunedì potrebbe essere convocata la direzione del partito. Dove, pare, si discuterà persino di “questione morale”. La stessa, per intenderci, che sta aprendo un’autostrada alle vittorie future del Movimento cinque stelle. La pioggia di indagini sul Comune di Siracusa, un ballottaggio con le ombre del voto di scambio a Vittoria, non faranno che nutrire il senso di rifiuto dei siciliani nei confronti di quelli che una volta erano i “partiti tradizionali”. E che oggi sono solo figure stampate nell’atlante degli sconfitti.
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21 Giugno 2016, 06:00