Dal semplice controllo alla morte| “Così il virus ha ucciso mio nonno”

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16 Aprile 2020, 15:28

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SIRACUSA – “Da quando quell’ambulanza l’ha portato via non l’abbiamo più visto. Mio nonno è morto in solitudine, senza i suoi affetti più cari vicino e dopo un calvario lungo un mese e mezzo, ucciso dal Coronavirus diagnosticato troppo tardi”. Sono parole di estremo dolore quelle di Manfredi, il nipote 27enne di Domenico Zappalà, morto all’ospedale Umberto I di Siracusa il 4 aprile. Nella struttura sanitaria, proprio nelle ultime ore sono stati chiusi per sanificazione i reparti di Medicina, Geriatria e ‘Stroke unit’, mentre al Muscatello di Augusta è stato chiuso il reparto di Neuorlogia. Provvedimenti necessari da parte dell’Asp, dopo la serie di casi positivi al Covid-19 che ha interessato pazienti e personale sanitario. Una situazione già al centro di uno scontro tra la direzione dell’Asp e in sindacati, e su cui la magistratura ha già acceso i riflettori.

Nella scia di contagi rientrerebbe proprio il caso di Zappalà, 87enne ex maresciallo dei carabinieri sul quale decesso i familiari vogliono adesso fare luce. Già, perché l’iter ospedaliero che si è concluso con morte dell’anziano, era iniziato con un semplice controllo in day hospital al nosocomio di Augusta. “Si erano presentati da poco tempo piccoli problemi legati a una presunta demenza senile, ma lui non aveva particolari patologie”, sottolineano i figli e il nipote, che adesso chiedono l’intervento della magistratura “per sapere la verità – aggiungono – ma anche per fare in modo che una vicenda simile non possa ripetersi con altri pazienti”.

Tutto inizia il 18 febbraio, quando l’uomo è stato ricoverato al Muscatello di Augusta per accertamenti, in una stanza con altre quattro persone. “Lì ha cominciato ad accusare i primi sintomi di una polmonite – spiegano i familiari – ma poi le condizioni sono peggiorate, al punto da rendere necessario il trasferimento all’ospedale di Siracusa”. E’ stato quindi eseguito un tampone per accertare l’eventuale contagio da Covid-19, ma l’esito era stato negativo. “Mio nonno – prosegue il nipote – è stato ricoverato nel reparto di Malattie infettive dell’Umberto I il 7 marzo, dove ci è stato comunicato che era risultato positivo al virus H1N1, ovvero la febbre suina che aveva provocato uno stato avanzato di broncopolmonite”. In quei giorni nella struttura sanitaria di Siracusa si erano verificati i primi problemi logistici legati all’emergenza Coronavirus, Zappalà è quindi stato ulteriormente trasferito: “Prima nel reparto di Pediatria – precisano i familiari – poi nuovamente in Malattie Infettive, dove ci hanno comunicato che le cure stavano funzionando e che il virus era stato debellato”.

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L’87enne è così rimasto ricoverato fino al 20 marzo, ma nel frattempo sarebbero avvenuti ulteriori spostamenti nel reparto di Geriatria, “passando da stanze singole, a doppie e a multiple con sei pazienti”, precisa la famiglia che il 20 marzo viene comunque avvisata delle dimissioni del familiare: “Ci hanno detto che la situazione in ospedale era critica e che era meglio portarlo a casa. Ma non è stato eseguito alcun tampone di verifica, né è stata disposta l’assistenza sanitaria domiciliare. Mio nonno quel giorno è così tornato nella nostra abitazione – racconta il nipote -. Comunicava con me e mia madre, non aveva perso l’ironia che da sempre lo caratterizzava, facendosi amare da tutti. Insomma, credevamo il peggio fosse passato. Invece la situazione è letteralmente precipitata. Sono rimasto al suo fianco ogni notte, ma è stato proprio lui, in preda ai problemi respiratori, a chiedermi di chiamare un’ambulanza. Quelle sono state le sue ultime parole che ricordo”.

L’ambulanza ha trasportato l’anziano in ospedale “ed è stato ricoverato in isolamento come presunto caso di Coronavirus”, prosegue la famiglia, nel frattempo chiusa in casa su consiglio dei sanitari. E proprio in quelle ore, l’esito del tampone ha dato esito positivo, con l’immediato trasferimento di Zappalà in Rianimazione, dove ha poi trascorso le notti del 2 e del 3 aprile. “Il decesso è avvenuto l’indomani, il 4 aprile, a distanza di un mese e mezzo da quello che doveva essere un semplice controllo – aggiungono i parenti. “I familiari – precisa l’avvocato Amilcare Giardina – sono in quarantena dal 30 marzo e dopo tantissime richieste sono stati sottoposti al tampone soltanto il 14 aprile, ben dieci giorni dopo il decesso del signor Zappalà. Il test non è nemmeno stato effettuato a domicilio, pertanto sono stati costretti ad uscire con pericolo nei confronti di tutti i condomini e di tutti i soggetti con cui sono venuti a contatto. Oltre alla necessità di far luce su tutti i passaggi di questa dolorosa vicenda – precisa il legale – è adesso fondamentale una urgente sanificazione dell’intero condominio di residenza, o almeno delle parti comuni, con test ai condomini e, all’esito dei test ai familiari, una sanificazione dell’appartamento dei Zappalà al fine di poter ospitare la moglie dell’anziano, attualmente ricoverata per un problema ortopedico, ma in fase di dimissioni”.

“Ora ci siamo noi – conclude il nipote Manfredi – noi che dobbiamo convivere con il dolore della perdita e allo stesso tempo con un sistema che sembra far acqua da tutte le parti. Di mio nonno mi restano il ricordo del suo sorriso, il suo modo di vivere la vita con gioia e altruismo. Amava suonare la fisarmonica, abbiamo trascorso gli ultimi giorni guardando insieme i video della banda dei Carabinieri: lo rendevano felice. Avrei voluto abbracciarlo per l’ultima volta, ma questo maledetto virus ce l’ha portato via per sempre”.

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16 Aprile 2020, 15:28

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