19 Aprile 2023, 16:51
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(Roberto Puglisi) La strada per Caltanissetta, in quel giorno di novembre del 2017, era già una sovrabbondante metafora dei guai della Sicilia. Sgarrupata, difficile, col miraggio dell’approdo. Si procedeva, con il collega Antonio Giordano, per raccontare la scenografia di un possibile evento storico in calce alle elezioni regionali. Giancarlo Cancelleri, grillino, insidiava il campione del centrodestra, Nello Musumeci, che, infine, avrebbe vinto. Ma, ancora, nessuno sapeva niente. Cancelleri non sapeva che sarebbe arrivato giusto a qualche incollatura, nel più inutilmente glorioso dei secondi posti. Musumeci poteva credere, ma di certo non sapeva, che avrebbe vinto e governato, né avrebbe potuto predire il flagello del Covid e lo sgambetto di Gianfranco Miccichè. Noi viaggiavamo e almanaccavamo dei pronostici da sportivi e cronisti: ma ci pensi se…
La Sicilia era una patria diffusamente grillina – e non soltanto la Sicilia – ammaliata, già cinque anni prima, da quello strano leader con la pancetta che aveva manifestato il suo smisurato talento con una traversata a nuoto, lì dove dovrebbe sorgere il Ponte di Messina. Beppe Grillo aveva incontrato – come scrisse Pietrangelo Buttafuoco – “pescatori di terra e contadini di mare”. E si era simbolicamente fatto carico di una atavica solitudine. Come se quella nuotata rappresentasse un riscatto collettivo, in un gesto condiviso da tanti siciliani. Tanti che avevano seguito l’evento con la stessa apprensione della partita.
C’era il grillismo e adesso non c’è più. Adesso c’è il Movimento Cinque Stelle che è – nel bene e nel male – un’altra cosa. Il grillismo puro, infatti, mai sarebbe diventato pratica di governo. Come può un’utopia arginare e rendere concrete tutte le rivoluzioni ipotetiche che la assediano? Giungemmo, infine. E ci apprestammo a organizzare la logistica. Un’occhiata in giro. Si respirava un’aria da festa scolastica della prima media, negli anni Ottanta. Rosticceria mignon ovunque e la Fanta, più che la Coca Cola, nel comitato elettorale. Mancavano soltanto gli iniziali e timidissimi pezzi ballabili. Ai tempi (anni ’80) furoreggiava ‘Les amoureux solitaries’ di Lio.
Era stata una campagna feroce, con la polemica sui cosiddetti candidati ‘impresentabili’. I grillini percepivano l’occasione propizia e ci davano dentro. Annotazione in diretta dell’epoca: “Alle 18.28, ora di Caltanissetta, Giancarlo Cancelleri fende la folla del ricovero elettorale grillino, accolto da un robusto applauso che sottolinea la migliore delle sconfitte possibili”. Si era già tutto compiuto. Secondo le informazioni raccolte allora, ‘Gianca’ – come lo chiamavano – aveva aspettato i risultati a casa di mamma e papà. Il ‘secondo posto’ non dismise la faccia da guerra (politica), nelle sue dichiarazioni: “Se ho chiamato il vincitore? Se ho chiamato Musumeci? No, perché altrimenti dovrei chiamare Genovese e altri, i veri vincitori. Questa vittoria è contaminata dagli impresentabili con la complicità dei media nazionali. E con loro non ci sarà dialogo”. Nei paraggi, c’era Giggino Di Maio all’apice, gorgheggiante di motti e sorrisi.
Questi taccuini di ieri sono tornati in mente ora, nel consumarsi di una ormai nota frattura. Ha detto Giancarlo Cancelleri a Qds, nell’atto del congedo dal suo passato: “Non torno indietro rispetto a un Movimento che non sa minimamente valorizzare le competenze che sono cresciute al proprio interno, che getta via come uno straccio vecchio persone che hanno contribuito a fondare e fare diventare grande e credibile quel gruppo”. Ma le rivoluzioni – vere o presunte, realizzate o irrealizzabili – sono così: divorano i propri figli. Però, chissà come sarebbe andata se, in quel giorno di novembre, si fosse celebrata una vittoria, magari con i denti, al posto della sconfitta più bella.
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19 Aprile 2023, 16:51