01 Gennaio 2019, 17:57
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PALERMO – Per loro il 2018 si chiude con dubbi, angoscia, dolore. Sperano nel nuovo anno per conoscere la verità, per dare giustizia ai propri cari. Sono le famiglie che convivono con l’assenza di chi non c’è più per colpa di qualcuno che non ha ancora un nome e cognome. Figli, madri, padri, sorelle, finiti al centro di gialli ancora irrisolti in Sicilia. In molti casi le ricerche vanno avanti da anni e negli ultimi dodici mesi sono state alimentate da nuovi elementi che potrebbero portare gli inquirenti sulla strada giusta.
Misteri fitti, che tengono sul filo del rasoio chi vuole venga fatta luce su morti o scomparse ancora senza un perché. Il caso più recente è quello che riguarda la giovane mamma di Favara, in provincia di Agrigento. Di Gessica Lattuca, 24 anni, non si hanno più notizie dal 12 agosto, quando sarebbe uscita di casa lasciando i suoi quattro figli con la madre, da allora disperata. Gli ultimi avvistamenti collocherebbero la scomparsa della ragazza tra le 19,30 e le 21, orario in cui risulterebbe l’ultima localizzazione del cellulare prima dello spegnimento definitivo. Inoltre Enzo Lattuca, fratello di Gessica, avrebbe riferito ai carabinieri di aver incontrato la sorella subito dopo le 19. Le certezze sulla sorte della donna, dopo quasi cinque mesi di inchiesta, sono ancora poche. Molti i depistaggi, dalle telefonate anonime alle scritte sui muri, a Naro e Favara, che indicano i nomi di uomini del posto come presunti soggetti coinvolti nella vicenda, nella quale c’è soltanto un indagato. Si tratta di Filippo Russotto, ex convivente della donna e padre di tre dei quattro figli, che si dichiara completamente estraneo ai fatti. Nel frattempo, i bimbi della ragazza scomparsa nel nulla hanno scritto una lettera: “Caro Babbo Natale, come regalo di vogliamo che nostra madre torni a casa”, ma di Gessica, ancora, nessuna traccia.
Così come di Giusy Ventimiglia, la donna di 36 anni scomparsa il 13 novembre del 2016 da Bagheria, nel Palermitano. Da allora sono trascorsi più di due anni, le indagini della Procura di Termini Imerese proseguono, ma il fratello Salvo teme il peggio ed ha più volte lanciato appelli sui sociali per chiedere la verità: “Anni di silenzio che mi stanno distruggendo – dice – voglio sapere dove si trova mia sorella, non so nemmeno se è viva o morta. Troppa omertà da chi conosceva ed ha avuto contatti con mia sorella, nessuno mi ha aiutato. Cosa è successo dal giorno della sua scomparsa? Niente. Io non vedo l’ora di mettere le mani su tutta la documentazione che riguarda il caso e chiedo a coloro che sono coinvolti, anche indirettamente a questa vicenda di avere coraggio. Di trovare la forza per parlare e darci la possibilità di capire cosa le è davvero successo”.
A chiedere giustizia sono anche i familiari di Mario Ruffino, il 44enne di Caltavuturo trovato senza vita nei pressi dello svincolo di Buonfornello, dopo la sua scomparsa da Caltavuturo, in provincia di Palermo, nel novembre del 2016. Le indagini sono ancora in corso, ma chi ha ucciso l’uomo è a piede libero. Il cadavere era in avanzato stato di decomposizione fu abbandonato vicino alla strada statale 113, sul corpo furono trovate ferite riconducibili a dei colpi di spranga. “Il colpevole deve pagare – dice il cognato, Giuseppe Capuano – a noi non resta che piangere e portare i fiori sulla sua tomba, da allora viviamo nell’angoscia perché non sappiamo come è morto Mario, non abbiamo la certezza di cosa possa essergli accaduto. Se è stato un omicidio, pretendiamo la verità”. Le indagini sul caso sarebbero complesse anche perché Ruffino non possedeva un cellulare. In fase di completamento, sono invece gli accertamenti sulle tracce trovate sugli abiti.
Un incubo con cui convivono, da ben cinque anni, anche i genitori, il fratello e la sorella di Mario Biondo, il cameraman palermitano trovato senza vita, il 13 maggio del 2013, nella casa di Madrid in cui viveva con la moglie, la conduttrice televisiva Raquel Sanchez Silva. La famiglia spera di conoscere la verità su quello che da sempre ritengono sia stato un omicidio: dopo la riesumazione della salma, effettuata il 5 novembre, è infatti stata eseguita una nuova autopsia i quali esiti si conosceranno entro i primi giorni di gennaio. “A distanza di cinque anni posso dire che questa ulteriore autopsia rappresenta una vittoria per noi, un passo decisivo per dare giustizia a mio figlio”, dice la madre, Santina D’Alessandro. Il caso è ora nelle mani dei sostituti procuratori Domenico Gozzo e Rita Fulantelli e con le ulteriori analisi potrebbe arrivare ad una svolta.
La stessa che si attende per un altro “cold case” che da quasi nove anni tiene col fiato sospeso la città di Palermo, quello dell’omicidio dell’avvocato penalista Enzo Fragalà, vittima di un pestaggio brutale a pochi metri dal tribunale e dal suo studio, il 23 febbraio del 2010. Il suo cuore si fermò dopo quattro giorni di agonia in ospedale. La pista che gli inquirenti seguono si collega agli ambienti mafiosi, attualmente è in corso il processo in cui è stato acquisito un filmato che ha immortalò un uomo con un bastone, nei pressi del luogo del delitto. Sono stati gli avvocati di Francesco Arcuri, uno degli imputati dell’omicidio insieme ad Antonino Siragusa, Salvatore Ingrassia, Antonino Abbate, Paolo Cocco e Francesco Castronovo. a scoprire quei pochi frame. L’omicidio Fragalà rischiò di essere chiuso definitivamente dopo l’archiviazione disposta nel gennaio 2015 dal gip, poi arrivarono le dichiarazioni del pentito Francesco Chiarello, ritenuto attendibile dalla Procura che riaprì il caso: il pentito raccontò come la decisione fosse stata presa dai mafiosi sulla base del comportamento del penalista. A contraddirlo, Antonino Siragusa, il quale racconto non è però stato ritenuto attendibile perché incoerente con quello di Chiarello: si è autoaccusato del delitto, pur ridimensionando il suo ruolo, dando una sua versione dell’agguato che in molti punti è in contrasto con quella del pentito.
Tante ipotesi, ma nessuna certezza, invece, sull’omicidio di Daniele Discrede, sul quale quest’anno sono state disposte nuove indagini. Il commerciante di bibite fu ucciso il 24 maggio del 2014 in via Roccazzo, nel suo deposito, davanti agli occhi della figlia. Le telecamere hanno ripreso tutte le fasi della rapina, dal tentativo di Discrede di travolgere i malviventi con la sua motocicletta fino all’esplosione dei colpi di pistola che lo uccisero. Le successive analisi degli spostamenti di una Citroen C4, probabilmente la stessa poi ritrovata bruciata, hanno portato gli investigatori fino allo Zen, ma la rapina finita nel sangue è ancora senza colpevoli.
Ed è ancora a piede libero l’assassino di Antonietta Giarrusso, la titolare dello storico negozio di parrucche di via Dante, in pieno centro a Palermo, uccisa a coltellate il 30 aprile del 2012. Le indagini partirono serrate, le persone sospettate erano una quindicina. Il sangue trovato sulla tenda del negozio consentì di isolare il dna dell’assassino, che confrontato con ventotto campioni diversi non portò però ad alcun esito. Amici, parenti, conoscenti, commercianti della zona e persino un clochard ed un transessuale, cliente della Giarrusso, furono interrogati. Tutte le piste furono battute. Tuttora, chi ha conficcato le forbici nella gola di “Ninni” Giarrusso e l’ha poi massacrata con più di venticinque coltellate, è riuscito a farla franca. Ma le indagini, chiuse nel 2014 e riaperte nel febbraio 2016, proseguono.
Come quelle sulla scomparsa del ventenne Marcello Volpe. Era il 12 luglio del 2011 quando uscì di casa per non fare più rientro. Da allora la vita dei familiari è stata sconvolta, la madre, Laura Zarcone, ha ribadito a LiveSicilia che andrà avanti, anche di fronte all’eventuale chiusura dell’inchiesta: “Io non so nemmeno se mio figlio è ancora vivo – ha detto – ma di certo non smetterò di cercare la verità. Non mi fermerò, non sottovaluterò alcun elemento che possa condurmi a lui”. Dal giorno della scomparsa, in via Aloisio Juvara nella zona della Fiera del Mediterraneo, segnalazioni e avvistamenti hanno sempre condotto ad un nulla di fatto
Così come non è ancora chiara la vicenda che riguarda Santo Alario e Giuseppe Guzzardo, quest’ultimo arrestato per l’omicidio dell’amico, di cui non si hanno più notizie dal giorno in cui erano scomparsi insieme, il 7 febbraio di quest’anno. Erano partiti da Capaci per recarsi a Ventimiglia di Sicilia, nel Palermitano, Guzzardo è stato rintracciato tre mesi dopo in un casolare di Montemaggiore Belsito, nel registro degli indagati sono finiti anche i fratelli, accusati di occultamento di cadavere, ma il corpo di Alario, non è mai stato ritrovato. Un altro mistero ha poi tinto ulteriormente la vicenda di giallo: un uomo che somiglia ad Alario sarebbe infatti stato immortalato in un filmato durante lo sgombero di un campo rom a Roma. La madre, Marianna Musso, che in questi mesi ha lanciato appelli anche tramite alcune trasmissioni televisive, ha escluso che si trattasse di suo figlio: “Non è lui – ha detto – lo riconoscerei subito. Voglio sapere che fine ha fatto, non avrò pace fino a quando non conoscerò la verità”.
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