23 Marzo 2015, 14:54
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PALERMO – È qui in Sicilia che, quando ancora il Partito democratico non esisteva, sono nate. È naturale quindi che sia qui, a una manciata da chilometri dalla prima sperimentazione, che muoiono con la rivelazione dell’inganno originale, della dissimulazione di una decisione già presa altrove tramite il paravento del consenso popolare. Sta tutta nei 130 chilometri che separano Palermo da Agrigento la parabola delle primarie del centrosinistra: dalla sfida del 2003 fra Giovanni Fiandaca e Luigi Cocilovo per la candidatura alla presidenza della Provincia di Palermo a quella che ieri ad Agrigento ha visto la vittoria di Silvio Alessi, presidente dell’Akragas e candidato non tanto velatamente gradito a Forza Italia.
Eppure, nel 2003, fu gara vera. Il centrosinistra era ancora polarizzato fra Democratici di sinistra e Margherita, che non riuscivano a trovare una sintesi fra i due nomi in campo: da un lato il professore sponsorizzato dalla Quercia, dall’altro l’eurodeputato portabandiera dei centristi. Il modello non era quello poi adottato dal Pd nel 2007: non gazebo aperti a chiunque, ma una convention degli iscritti ispirata dai caucus statunitensi e presieduta, fra gli altri, dall’attuale capo dello Stato Sergio Mattarella. Per la cronaca vinse Cocilovo, che poi però dovette inchinarsi al candidato del centrodestra Francesco Musotto. Ma questa è un’altra storia.
La storia che stiamo raccontando, invece, fa un salto di quattro anni. Dal 2003 al 2007. L’anno delle primarie “vere”. O almeno quelle che siamo abituati a considerare tali. Basate, appunto, su un duplice inganno: da un lato l’idea che un modello buono per gli Stati Uniti possa essere importato pari pari in Italia, e dall’altro l’illusione di fare scegliere agli elettori un nome che in realtà è già blindato in partenza. Nessuno, otto anni fa, credeva davvero che Rosy Bindi, Enrico Letta, Mario Adinolfi o Pier Giorgio Gawronski avrebbero superato Walter Veltroni nella partita per la guida del Pd, e infatti finì con un impietoso 75 per cento a favore del vincitore. Ma il gioco di prestigio della legittimazione popolare si era compiuto.
Poi, però, il giocattolo si è guastato. Troppo facile, per chi vuole influire sulla decisione, mobilitare truppe sufficienti ad alterare il risultato in una consultazione con così pochi votanti e così vaghe regole. Le avvisaglie sono arrivate da tutta Italia: dai cinesi delle primarie 2011 di Napoli ai sospetti e ai veleni di quelle tenute l’anno successivo a Palermo fra Fabrizio Ferrandelli, Rita Borsellino, Davide Faraone e Antonella Monastra, fino alle consultazioni annullate nelle ultime settimane in Liguria e in Campania. Ma era scritto che i siciliani – che di simulazione e dissimulazione sono maestri per averne ereditato l’arte dagli arabi e dai greci – ne indicassero il punto più basso: non brogli, non sospetti, ma addirittura la vittoria – cristallina, sia chiaro, e rispettosa delle regole – di un candidato gradito a quella che sulla carta sarebbe la parte politica avversa.
L’epilogo è ancora da scrivere. Se debba essere la regolamentazione esplicita delle primarie o l’archiviazione di questo modello sarà la storia a dirlo. Certo è che sarebbe troppo facile infilare la testa sotto la sabbia. E dire che, beh, non c’è nulla di strano nella vittoria di un uomo che piace a Forza Italia nelle primarie del centrosinistra. Certo, è fin troppo ovvio annotare come Agrigento sia la terra dei pirandellismi. Ma il destino delle primarie passa ancora da qui. Dove sono nate. E dove forse sono anche morte.
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23 Marzo 2015, 14:54