22 Ottobre 2016, 06:00
4 min di lettura
PALERMO – “Lei ha il potere di trovarmi un lavoro, basta che non sia con l’amministrazione giudiziaria”. Sono le parole di una donna disperata, quelle che una signora palermitana mette per iscritto e invia al prefetto Francesca Cannizzo, indagata nella vicenda che ha coinvolto, tra gli altri, l’ex presidente della Sezione misure di prevenzione Silvana Saguto.
“Un lavoro, ma basta con l’amministrazione giudiziaria”, implorava la donna. Che per un breve periodo aveva sognato che la propria condizione familiare, gravissima, potesse alleviarsi. Era intervenuto, in suo favore, persino il Quirinale. Al presidente della Repubblica Mattarella, infatti, circa un anno prima, aveva scritto il marito della donna, raccontando la sua storia: l’uomo, 57 anni, è un invalido civile, tre bypass al cuore, malato di diabete che viveva con una pensione di 290 euro al mese con moglie e figli a carico.
La storia non passa inosservata e il presidente Mattarella, attraverso il proprio consigliere, decide di inoltrare la lettera dell’uomo alla Cannizzo chiedendole di “esperire ogni consentito intervento in sede locale” anche “con riferimento ad una soluzione abitativa alternativa”. L’ex prefetto non se lo fa ripetere due volte. E prova a risolvere la faccenda coinvolgendo Silvana Saguto: “Mi scrive il Quirinale – dice la Cannizzo – per attenzionarmi una situazione molto particolare, per caso in una delle tue gestioni commissariali questo si potrebbe sistemare?”. La Saguto inizialmente propone un lavoro da benzinaio per l’uomo. Poi, di fronte alla richiesta della Cannizzo di “fare la cosa completa”, si cerca “un lavoretto anche per la moglie”.
E la soluzione passava da Carmelo Provenzano, tramite l’amministratore giudiziario Roberto Santangelo, che si mette subito a disposizione individuando anche un immobile a Carini, sequestrato alla mafia, da dare in comodato d’uso alla coppia per qualche mese, per poi passare a un canone da 250-300 euro mensili. La Cannizzo, esultava Provenzano, “è contentissima, sta chiamando il Quirinale, che ci fanno la corona”. La Cannizzo si accredita agli occhi del presidente della Repubblica, annotano i pm. Sembra andare tutto per il verso giusto, in effetti: ecco la casa, il lavoro per la donna in una casa di cura, lo sfratto evitato. Al punto che il disabile invia una lettera in Prefettura: “Mi sembra tutto un sogno”.
Ma presto, il sogno si tramuterà in un incubo. Trascorrono infatti appena tre mesi, siamo a ottobre del 2015, i coniugi incontrano in Prefettura la Cannizzo e spiegano che la donna, nonostante l’assunzione, non riceveva lo stipendio da due mesi. Passa un altro mese, e l’uomo invia una lettera alla Cannizzo nella quale lamentava che le persone che si erano incaricate di aiutarlo non avevano fatto altro che aggravare di più la sua situazione familiare, avendo fatto ammalare la moglie “massacrandola di lavoro”. Non solo. I coniugi avrebbero presto saputo che alla scadenza del comodato d’uso dell’abitazione, il canone sarebbe stato fissato a 550 euro e non, come inizialmente pattuito, alla metà di quella cifra e che, in caso di mancata accettazione della proposta, avrebbero dovuto lasciare l’immobile entro la fine dell’anno.
Le parole della moglie dell’uomo disabile, raccolte dai pm, sono “significative – scrivono gli inquirenti – per documentare l’effetto devastante, anche in termini di umiliazione e mortificazione dei diritti che l’incontro con Provenzano e Santangelo, e più in generale con ‘l’amministrazione giudiziaria’ aveva avuto sulla vita della sua famiglia, già provata dalla condizione di indigenza e dalla salute precaria del marito”.
Perché in effetti la situazione precipita. La donna inizia a lavorare per un’altra casa di cura tra quelle comprese in un sequestro, continuando però a non ricevere lo stipendio. Nel frattempo, marito e moglie sono costretti a lasciare l’immobile offerto da Provenzano a causa di un incendio divampato nei sotterranei del palazzo. Provenzano allora propone un altro stabile. “Ho scritto a Provenzano – racconta la donna – dicendogli anche che ero costretta a usare la pensione di mio marito per acquistare il carburante dell’auto. Provenzano si adirò dicendomi che continuavo a lamentarmi invece di ringraziarlo. Ci siamo rivolti nuovamente al prefetto Cannizzo, ma in questo caso il suo atteggiamento nei nostri confronti fu completamente diverso. Da disponibile e cordiale a scontrosa e infastidita. Si limitò a dirci ‘quello che ho potuto fare, ho fatto, che non aveva modo di aiutarci”.
Il prefetto non poteva più aiutarli. Mentre, paradossalmente, la coppia era costretta a usare la pensione dell’uomo per garantire gli spostamenti della donna verso un lavoro non retribuito. “Ho detto al prefetto che avevamo difficoltà anche ad acquistare i generi alimentari ma lei rispose che potevamo rivolgerci alla Caritas o presso qualche parrocchia”. Gli stipendi arriveranno mesi dopo, non il Tfr. Ma a gennaio, come detto, la coppia è costretta a lasciare il primo immobile messo a disposizione dagli amministratori giudiziari. L’amministratore allora ne individua un altro. “Santangelo – continua la donna – ci propose un appartamento a Villabate. È un appartamento molto fatiscente, con diversi danni (alle rubinetterie, agli infissi) e senza nemmeno la fornitura di acqua ed energia elettrica”. Utenze che potevano essere attivate solo tramite documenti che “Santangelo – spiega sempre la donna – non vuole o non è in grado di farci avere”. E così, il triste epilogo per l’uomo ammalato e la sua famiglia: “Siamo costretti tutt’oggi a dormire con mio marito e mia figlia all’interno della nostra autovettura”.
Pubblicato il
22 Ottobre 2016, 06:00