Dall'altra parte della barricata - Live Sicilia

Dall’altra parte della barricata

l nostro camice, lungi dall’essere una corazza, è piuttosto un punto di maggior debolezza. Un tallone d’Achille che ci rende più vulnerabili.

Nella mitologia greca c’è una figura strettamente legata al mondo della medicina: quella del centauro Chirone. Narra il mito che il dio Crono, invaghitosi della ninfa Filira, la sedusse sull’isola che porta il suo stesso nome. Scoperto in flagrante dalla moglie Rea, Crono fuggì trasformandosi in stallone. Il frutto di quella divina scappatella fu un centauro, creatura con il corpo per metà di uomo e per metà di cavallo. Per il rifiuto di quel figlio mostruoso, Filira chiese agli dei di essere trasformata in un’altra creatura e divenne un tiglio, pianta da cui nell’antichità si estraevano molti medicamenti. Chirone crebbe e divenne il più dotto ed evoluto tra i centauri. Di carattere mite e generoso, divenne l’amato maestro di dei ed eroi, tra cui Peleo e suo figlio Achille, Apollo, Ercole e Giasone. Inoltre, per la competenza acquisita per via materna nell’arte medica, Apollo gli affidò il figlio Esculapio che, grazie ai suoi insegnamenti, fu designato come dio della medicina.

Durante un combattimento Chirone viene colpito per errore ad una gamba da una freccia scoccata dall’arco del suo amico ed allievo Ercole. La ferita che si produce è dolorosissima e Chirone tenta di curarla assistito dai suoi stessi allievi. Ma purtroppo quelle cure sono destinate al fallimento: la ferita è inguaribile perché prodotta da una freccia sporca del sangue dell’Idra di Lerna. Il dolore e l’angoscia di Chirone sono accresciuti dalla conoscenza della malattia e dalla consapevolezza di essere immortale, in quanto figlio del dio Crono. Allo stremo delle forze e in preda alla disperazione, Chirone propone a Zeus un baratto: la rinuncia alla propria immortalità in cambio della salvezza del titano Prometeo, condannato a supplizi tremendi per aver osato rubare il fuoco agli dei per donarlo al genere umano. Mosso a compassione per quella creatura così saggia e generosa, Zeus decide di accettare lo scambio ponendo fine al suo supplizio. E lo accoglie nell’Olimpo accanto agli dei.

Ai miei occhi, Chirone rappresenta l’immagine del medico malato, del curante bisognevole di cure, del terapeuta che scopre in sé stesso la malattia in un processo che trasforma l’alleanza empatica tra chi cura e chi soffre nell’atroce sovrapposizione di ruoli di chi passa “dall’altra parte della barricata”. Dopo mille sofferenze, lunedì scorso s’è spento un mio caro collega. Un amico che conoscevo da quando, più di trent’anni fa, frequentavo la sua casa per studiare con suo fratello e sua madre mi trattava come fossi un altro dei suoi figli. Una persona mite e generosa; un Medico vero, un Chirone dei nostri giorni. L’ho visto per l’ultima volta pochi giorni prima che morisse. Ho cercato di lenire il suo affanno aspirandogli il liquido dal torace in un atto di compassione che mille volte ho compiuto in tanti anni. Mentre gli spiegavo cosa avrei fatto, lo guardavo negli occhi. Per quanto non riesca ad abituarmi all’incrocio di sguardi con un uomo che sta per morire, non ci sono occhi che trovi più tristi di quelli di un collega, reso consapevole dalle sue conoscenze dell’ineluttabilità del proprio destino. Cercavo di farfugliargli qualche pietosa bugia, ma i suoi occhi mi dicevano: “Vorrei poter sperare, ma so di essere senza speranza”.

Il nostro camice, lungi dall’essere una corazza, è piuttosto un punto di maggior debolezza. Un tallone d’Achille che ci rende più vulnerabili, noi che siamo ogni giorno immersi fino al collo nelle acque dello Stige dell’umana sofferenza. Ne paghiamo il fio quando ci ammaliamo o quando ad ammalarsi è qualcuno dei nostri cari. Perché noi non riusciamo a scindere dal nostro sapere e dal nostro vissuto professionale l’angoscia per il destino degli affetti più cari. Cominciamo a interrogare i testi e i lavori scientifici alla disperata ricerca di un appiglio, di una speranza. Sguinzagliamo tutte le nostre conoscenze per trovare il Centro giusto, il medico giusto, il farmaco giusto. Ci sforziamo di trasmettere serenità ed equilibrio, ottimismo e fiducia anche quando il nostro cuore è in tumulto. Perché tutti gli altri membri della famiglia, e soprattutto chi è malato, si affidano a noi con speranza. Sapeste quante volte, nel periodo della malattia dei miei genitori, m’è capitato di guardare con una punta di invidia alla “beata ignoranza” dei figli degli altri malati. Loro dovevano solo preoccuparsi e fidarsi, mentre a me il ruolo del figlio preoccupato e dolente era precluso. Come se il peso di quel gravame non fosse già insostenibile.

Eppure, come ha detto il prete durante la Messa funebre, noi soldati di Ippocrate qualche vantaggio l’abbiamo. Anche quando ce ne andiamo, noi continuiamo a vivere nel ricordo di coloro che abbiamo restituito alla vita o di cui abbiamo lenito il dolore. Di coloro cui non abbiamo lesinato una carezza. Noi ci presentiamo al cospetto del Signore ornati delle preghiere dei fratelli che abbiamo aiutato. E tu, Saverio, ne hai appena avuto conferma. Proprio come Chirone, accolto tra gli dei dell’Olimpo e trasformato da Zeus in un gruppo di stelle splendenti: la costellazione del Sagittario.


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