Mafia, sangue, fantasmi | La condanna di Corleone

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27 Gennaio 2015, 14:03

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Dannata, suo malgrado, è Corleone, non più paesello né campagna: metafora in servizio permanente afflittivo. Ne pronunci il nome e in uno scatto di flash ti vengono addosso u zu Totò, u zu Luciano, la rocca Busambra, la Millecento crivellata di colpi del dottore Navarra, il sangue rappreso intorno alle lenzuola che coprivano i cadaveri nelle vecchie foto, con l’odore della polvere da sparo. Da qui discende la nota maledizione. Nessuno può dire, innocentemente, “vado a Corleone”, senza sentirsi un po’ colpevole, senza dirsi: “ora vado nella capitale della mafia (secondo suggestione del set cinematografico da padrino), lì dove tutto ebbe principio”.

E’ tanto implacabile la condanna da resistere agli attacchi del tempo e della volontà. Molte buone coscienze si sono accese nell’antica residenza di Totò Riina, Luciano Liggio, Bernardo Provenzano. I giovani nativi sono stati nutriti a pane e antimafia, talvolta perfino ingozzati, come nella rieducazione forzosa di chi debba scontare un inemendabile peccato. A poco è servito per la costruzione di un immaginario alternativo: è lì che si combatte la lotta più dura, nonostante le buone coscienze. Lì, nel peso di una parola.

Il danno, la dannazione che rende Corleone eternamente dannata – un set cinematografico della sua damnatio di coppole e lupare – è l’istante che nessuno controlla, perché sfugge perfino alla coscienza. Ne pronunci il nome, e subito pensi: “Mafia”. E più non vorresti pensarci e più ci pensi; più non vorresti dirlo e più lo ripeti nel silenzio. Mafia, Mafia, Mafia (in maiuscolo)…. Così risuona l’eco della corda che piomba dal buio per strangolare ogni altro senso.

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Anche oggi, mentre la cronaca torna “dove tutto ebbe principio”, per raccontare una storia di estorsioni e di ribellione, la maledizione si rinnova. Questa non sarà mai solo una “storia di estorsioni e di ribellione”, pure nell’ottima notizia che c’è chi si ribella, soprattutto per necessità. Appartenendo a Corleone, prende forma, per sopravvento di suggestioni, nel paradigma dell’inevitabile. Ovunque, la colpa si sconta con una pena. A Corleone no. Laggiù la colpa è la sola via d’accesso per la Colpa maggiore (e ingiusta) di essere corleonesi e dunque – inevitabilmente – mafiati.

Dannata è Corleone, set cinematografico di se stessa, tra l’amaro dedicato al padrino e i fantasmi con le lenzuola di rosso scuro. Non si può nemmeno pronunciarne il nome senza portare addosso, innocentemente, una macchiolina di sangue.

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27 Gennaio 2015, 14:03

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