21 Giugno 2012, 20:37
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Roma, seconda settimana di giugno 1992. In via san Sebastianello, nei pressi di piazza di Spagna, l’allora capitano del Ros Giuseppe De Donno incontra in gran segreto l’ex sindaco di Palermo don Vito Ciancimino. Il carabiniere vorrebbe provare a fermare le efferate stragi mafiose. “Va bene – dice don Vito – ma ci vogliono coperture istituzionali”. Il 21 giugno Ciancimino invia il figlio Massimo a Palermo per incontrare il medico Nino Cinà. L’obbiettivo è fare in modo che la notizia degli “abboccamenti” con i carabinieri arrivi a Totò Riina, il sanguinario boss di Cosa Nostra. Che è subito euforico: “si sono fatti sotto” esclama in presenza di Giovanni Brusca, mettendosi subito a preparare una lista di richieste da sottoporre allo Stato in cambio dello stop alle stragi.
Nel frattempo De Donno cerca le “coperture istituzionali”. Informa degli incontri con Ciancimino Liliana Ferraro, direttrice degli Affari Penali del ministero della giustizia, che racconta subito tutto al guardasigilli Claudio Martelli. Il 25 giugno in compagnia di Mario Mori, De Donno incontra anche il magistrato Paolo Borsellino. I due carabinieri racconteranno che in quell’occasione parlarono a Borsellino soltanto del rapporto “mafia e appalti”. La stessa sera il magistrato interverrà per l’ultima volta in pubblico ad un convegno a Casa Professa. “In questo momento, oltre che magistrato, io sono testimone – dice Borsellino – Sono testimone perché, avendo vissuto a lungo la mia esperienza di lavoro accanto a Giovanni Falcone, prima di parlare in pubblico anche delle opinioni, anche delle convinzioni che io mi sono fatte raccogliendo tali confidenze, questi elementi che io porto dentro di me, debbo per prima cosa assemblarli e riferirli all’autorità giudiziaria, che è l’unica in grado di valutare quanto queste cose che io so possono essere utili alla ricostruzione dell’evento che ha posto fine alla vita di Giovanni Falcone, e che soprattutto, nell’immediatezza di questa tragedia, ha fatto pensare a me, e non soltanto a me, che era finita una parte della mia e della nostra vita.”
Il 28 giugno s’insedia il nuovo governo presieduto da Giuliano Amato. Vincenzo Scotti viene spostato a sorpresa agli Esteri, mentre a sostituirlo al vertice del Viminale arriverà a sorpresa Nicola Mancino. “Pregai Scotti di rimanere ministro dell’interno – dirà Mancino, oggi indagato per falsa testimonianza – ma non volle accettare, perché si sarebbe dovuto dimettere da deputato”. “Mai avuto contatti con Mancino, io volevo rimanere al mio posto – lo smentirà Scotti – anzi ne ero quasi certo: andai a dormire da ministro dell’Interno e mi svegliai Ministro degli Esteri”.
Recentemente si è appreso che anche Martelli rischiò di perdere il posto da guardasigilli. L’attuale eurodeputato dell’Udc Giuseppe Gargani infatti si sarebbe candidato come titolare di via Arenula direttamente da Bettino Craxi, promettendo che avrebbe ostacolato l’inchiesta Mani Pulite. Il tentativo di Gargani (che è raccontato solo oggi da Martelli) però non andò a buon fine. Il 29 giugno nel frattempo Liliana Ferraro incontra Borsellino nella saletta vip dell’aeroporto di Fiumicino e lo informa dei contatti in corso tra il Ros e Vito Ciancimino. “Ci penso io” dice il magistrato. Pochi giorni dopo però scoppia a piangere davanti ai due giovani colleghi Massimo Russo (oggi assessore regionale alla Sanità) e Alessandra Camassa. “Un amico mi ha tradito” dice Borsellino accasciandosi sul divano.
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21 Giugno 2012, 20:37