05 Marzo 2016, 14:16
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CATANIA – In bilico sarebbe il futuro dei piccoli artigiani, commercianti, delle famiglie e delle piccole imprese del territorio. La riforma del 16 febbraio 2016 n’ 18 delle banche di credito cooperativo approvata dal Consiglio dei ministri è finita al centro delle polemiche suscitando l’ira a destra e a manca da parte di economisti, bancari e soci delle Bcc. Le filiali di credito cooperativo nel comprensorio etneo sono sei in tutto, fra Catania, Belpasso, Misterbianco, Mascalucia, Biancavilla e Ragalna. Sebbene qui il decreto sia passato un po’ in sordina, a destare preoccupazione sarebbe la paventata ipotesi di vedersi strappare dalle mani quel poco di chance rimaste. La riforma prevedrebbe un assetto più saldo per le piccole banche, quali sono la maggior parte delle Bcc. Ma il rischio, a detta di molti, sarebbe solo quello di “snaturare” o peggio ancora cancellare l’intero sistema del credito cooperativo. Il decreto legge prevede che tutte le BCC entro 18 mesi confluiscano in un unico grosso gruppo bancario. A protestare tramite una nota è stato anche il sindacato Uilca.
Ad accendere una spia sull’argomento è Walter Piccione, uno dei soci, dipendenti e fondatori del credito etneo e firmatario di una missiva inviata a tutti i direttori e soci delle Bcc. “Da parte mia, c’è una seria preoccupazione – afferma – . Non si possono ignorare le eventuali ricadute che nel tempo si potrebbero avere sul territorio come il nostro il cui tessuto economico è già indebolito dalla crisi”. Insomma, il decreto non convince. Ma perché le BCC sono così importanti in un territorio come il nostro? Secondo il bancario, la riforma provocherà un lento declino del territorio siciliano.
Le Bcc sono banche spesso locali e funzionali alle esigenze specifiche del territorio e quindi dei privati associati al gruppo cooperativo. Il loro fine è mutualistico e fondato sul principio di “una testa un voto“. Lo strumento principe delle BCC sarebbe, duqnue, il sostegno territoriale ai piccoli imprenditori. A livello nazionale il credito cooperativo aderisce a Confcooperative. Con la nuova legge il controllo delle banche di credito cooperativo passerà, ora inevitabilmente, nelle mani di un’unica Holding con lo scopo di rendere quelle piccole più forti nel resistere alle fluttuazioni e alle instabilità dei mercati finanziari.
Tuttavia, la legge prevede una via di fuga per gli istituti poco inclini a sottomettersi al “potere” dei grossi gruppi: peccato, però, la soluzione sembrerebbe essere solo appannaggio delle banche aventi un patrimonio superiore ai 200 milioni di euro. Queste dovranno necessariamente trasformarsi in delle società per azioni, corrispondendo allo Stato il 20% delle riserve accumulate negli anni grazie alla cooperazione fra i soci. Se a non voler stare dentro saranno, invece, le banche cooperative che dispongono di un patrimonio inferiore ai 200 milioni di euro lo scotto da pagare sarà più alto, perché dovranno versare all’erario fino al 70% delle riserve indivisibili versate dai privati. Per le banche meno ricche, dunque, – come la Bcc catanese – lo sconto fiscale sarà più basso.
“A Catania la BCC non detiene un patrimonio di 200 milioni di capitale e, quindi, – prosegue Piccione – l’eventuale volontà di trasformarsi in S.p.A. è limitata dall’obbligo di conferire tutte le riserve accumulate. E’ una norma, a mio parere, incostituzionale perché crea disparità tra soggetti aventi stessa forma societaria. Le piccole BCC, per loro natura, non investono nelle regioni del mondo dove la redditività è più elevata, ma sostengono il territorio sul quale insistono con il credito al piccolo artigiano ovvero alla famiglia che decide di fare impresa”.
Alla Bcc del credito etneo non rimarrà altro che fondersi con un grosso gruppo bancario. Insomma, le piccole banche sarebbero via via destinate a scomparire. “Per gli istituti con capitale superiore a 200 milioni – ribadisce Piccione – lo sconto fiscale si riduce al 20% dell’intero patrimonio e possono trasformarsi in spa. Ma si tratta di soldi versati dai soci. Gli istituti, infatti, sono obbligati a destinare il 70% degli utili a riserve, giacché le attività delle Bcc non sono speculative, ma mutualistiche e volte a soddisfare gli scopi stessi della cooperazione, dando credito allo stesso territorio”.
In buona sostanza, a Piccione preoccupa l’eventualità che i flussi finanziari non rimangano più nel medesimo territorio, ma confluiscano laddove sarà presente maggiore ricchezza. E quindi, non al Sud. “Nutro dubbi che dopo un primo periodo di formale libertà – aggiunge – operativa non cominceranno a sorgere sostanziali, inderogabili e rigide burocrazie. Si pregiudicherà in tal modo lo strumento concorrenziale della BCC, e cioè la velocità operativa. L’intero progetto di riforma, ma in particolare l’art. 37-ter del d.l., vanno nella direzione di una dannosa globalizzazione poiché accomunano in unico gruppo Banche di territori con necessità diverse. Ritengo che la globalizzazione debba passare attraverso la messa in comune delle diversità e non attraverso un appiattimento delle differenze che inevitabilmente spinge verso il basso le aspirazioni dei cittadini”.
Stando a Piccione, il decreto in realtà sortirà altri effetti. In generale, sarebbe come la trama di un film già visto. “Così è successo – dice – con il quasi monopolio da parte delle grandi multinazionali del commercio successivamente all’avvento dei centri commerciali e alla conseguente sostanziale “messa al bando” di gran parte dei commercianti locali, del deprezzamento degli immobili cittadini e la non equa ripartizione del reddito; in una parola il declino dei territori. I grandi centri commerciali hanno inevitabilmente schiacciato i piccoli commercianti. Adesso troviamo a operare solo grosse società. E temo, si stia andando ancora verso quella direzione, cioè un depauperamento del territorio. Altro che rilancio”.
A lungo andare, dunque, le banche rischierebbero di perdere la loro autonomia. In particolare, secondo Piccione, la legge potrebbe causare l’insorgere di conflitti fra le governance delle banche. “La riforma delle BCC, così come esposta, – continua Piccione – sembrerebbe essere la panacea di tutti i mali. Ma invero mi pare sia in atto solo uno stravolgimento delle Bcc. Ci tengo a ricordare, in qualità di socio fondatore del credito etneo, che il credito cooperativo è nato a Catania circa 15 anni fa, dall’idea di un gruppo di colleghi –prosegue – dotati di grandi capacità e accomunati dal sogno di creare nel territorio una struttura bancaria di carattere mutualistico e quindi a favore della cooperazione locale. E’ una rete unica – precisa – che mette alcuni servizi in comune e ogni singola banca ha una sua autonomia, con un suo consiglio e le sua attività. Trovo singolare che si vada ad intervenire proprio nel comparto bancario che funziona discretamente bene. Mi permetto, inoltre, di fare osservare che il decreto legge è una forma legislativa quanto meno inopportuna data la portata della riforma ed il numero di persone a vario titolo coinvolte (soci, dipendenti, clienti, amministratori, territori, ecc.). Si tratta, a mio parere, di una formula che baypassa il dibattito in aula e lo posticipa, subordinandolo forse ed inevitabilmente anche ad equilibri su altri temi. Mi piacerebbe conoscere quanti colleghi, quanti soci, quanti direttori e quanti presidenti di BCC siano stati interpellati”- conclude Walter Piccione.
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