Decreto Salvini e beni confiscati |Polemica sulla vendita ai privati

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29 Settembre 2018, 19:25

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Invocato per anni da più parti, arriva nel decreto sicurezza di Matteo Salvini l’atteso potenziamento dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati. Ma il testo del governo sul punto raccoglie anche critiche e allarmi. Il tema è quello del migliore utilizzo dei beni confiscati, cioè sottratti in via definitiva, alla criminalità organizzata. Un utilizzo non sempre felice con casi di immobili andati in malora e di aziende, tante, che hanno chiuso. Il decreto Salvini prevede interventi per potenziare l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati. E allarga tra l’altro la possibilità, fin qui esistente ma marginale, di vendere i beni che non si riesce a utilizzare per fini sociali. “Troppo rischioso vendere i beni confiscati ai privati”, ha obiettato sentito da Repubblica don Luigi Ciotti, fondatore di Libera: “Ci vuole tanto rigore e attenzione, perché i boss provano sempre a riprendersi le proprie ricchezze”. L’obiezione del sacerdote è quella storica contro l’ipotesi di vendita, condivisa anche da altri esponenti dell’antimafia. Ma non da tutti. L’anno scorso, ad esempio, l’allora procuratore nazionale antimafia Franco Roberti diceva al Mattino di ritenere che fosse “arrivato il momento di prendere in considerazione anche l’alienazione dei beni”. Ma l’obiezione sul rischio che i beni venduti tornino ai boss attraverso prestanome, non è l’unica sollevata al provvedimento di Salvini. C’è chi pone l’accento su un altro tema, come fa Lillo Speziale, ex deputato regionale del Pd e già presidente della commissione Antimafia. Per Speciale quello che non va nel decreto Salvini è semmai che l’introito delle vendite dei beni non andrà alle casse della Regione ma sarà appannaggio dello Stato.

L’Agenzia per i beni confiscati gestisce più di tremila aziende, la maggior parte è attiva nell’edilizia. Sono 11.640 i beni immobili già destinati in Italia. La sola Regione Sicilia conta 4.728 beni. Palermo è la città in cui sorgono più beni confiscati, seguita da Reggio Calabria, Napoli e Milano. I principali destinatari dei beni confiscati sono i Comuni, a cui secondo dati dell’Agenzia del 2017 andava l’81% degli immobili, e le Forze dell’ordine a cui sono stati destinati l’11% degli immobili. Una percentuale minore è utilizzata dalle Regioni e altre amministrazioni dello Stato.

Già ad agosto il consiglio dei ministro aveva approvato un regolamento che prevedeva un potenziamento dell’organico dell’Agenzia, su proposta di Salvini. Le nuove norme del decreto sicurezza prevedono tra l’altro che se entro un anno l’ente territoriale destinatario del bene confiscato non ha provveduto alla destinazione del bene, l’Agenzia dispone la revoca del trasferimento ovvero la nomina di un commissario con poteri sostitutivi. Gli immobili potranno essere destinati, tramite procedure ad evidenza pubblica, per incrementare l’offerta di alloggi da cedere in locazione a soggetti in particolare condizione di disagio economico e sociale. Nel caso in cui il bene non si riesca a utilizzare si può procedere alla vendita, con tutta una serie di cautele che escludono soggetti condannati o indagati per mafia e loro parenti o affini fino al terzo grado. Le somme ricavate dalla vendita affluiscono al Fondo Unico Giustizia per essere riassegnate, previo versamento all’entrata del bilancio dello Stato, nella misura del quaranta per cento al Ministero dell’interno, per la tutela della sicurezza pubblica e per il soccorso pubblico, nella misura del quaranta per cento al Ministero della giustizia, per assicurare il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali, e, nella misura del venti per cento all’Agenzia, per assicurare lo sviluppo delle proprie attività istituzionali, in coerenza con gli obiettivi di stabilità della finanza pubblica.

E proprio quest’ultimo punto attira su di sé critiche. Anche don Ciotti, in generale perplesso sulla vendita ai privati per il rischio che i boss rimettano le mani sulla roba, sottolinea la questione della destinazione dei proventi della vendita: “Fu Libera per prima, nella petizione popolare che nel 1995 raccolse un milione di firme per la legge sull‘uso sociale dei beni confiscati, a prevedere un’ipotesi di vendita – ha detto il fondatore di Libera a Repubblica -. Ma immaginavamo che il ricavato dovesse servire ad alimentare uno speciale fondo istituito presso le prefetture per i progetti sociali. Le aspettative sono andate deluse”.

Lillo Speziale

Il punto lo spiega bene Lillo Speziale: “Qui si parla non solo di terreni di campagna, ma anche di grandi hotel. Da presidente della commissione Antimafia avevo proposto una norma per l’istituzione di un’Agenzia regionale per non aggiungere al danno della mafia che ha sottratto i beni alla legalità, la beffa dello Stato che si porta via gli introiti, violando un principio della legge Rognoni La Torre che stabiliva che l’uso dei beni confiscati fosse risarcitorio verso quei territori che hanno subito la devastazione della mafia”. Speziale ricorda come già alla Sicilia siano stati sottratti i soldi destinati alle periferie: “Sommando questo e quello è chiaro che ci si muova in un’ottica nordista”, dice l’ex deputato dem, che auspica “un sussulto di dignità delle forze politiche per evitare in sede di conversione in legge che la Sicilia venga penalizzata. La battaglia dovrebbero intestarsela il presidente della Regione e il presidente dell’Assemblea”.

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29 Settembre 2018, 19:25

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