19 Aprile 2011, 13:36
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Un efferato omicidio, quello costato la vita all’avvocato Enzo Fragalà, che a distanza di un anno continua a non avere un colpevole. Lunedi la Procura ha chiesto l’archiviazione per il secondo indagato: incompatibilità di Dna nelle tracce di sangue sui suoi vestiti e su quelli del penalista, lo hanno stabilito gli esami della scientifica. E così il caso rimane aperto, con tutta la carovana di sospetti, indizi, supposizioni, ma niente di più, perché ora più che mai il caso rimane un mistero. Di piste ce ne sarebbero almeno due, la prima è stata subito ipotizzata la notte stessa di quel 23 febbraio, quando l’avvocato penalista Enzo Fragalà fu massacrato a bastonate sotto il suo studio legale, a pochi passi dal Palazzo di Giustizia, e che ruota attorno alla vendetta dei clienti insoddisfatti. L’altra pista è quella mafiosa , corroborata dalle indagini dei procuratori Nino Di Matteo, Carlo Lenzi e Maurizio Scalia, che si interrogherebbero su una ragnatela di interessi della mafia attorno alla vittima, che negli ultimi tempi aveva scelto di difendere alcuni clienti forse prestanome di mafiosi. Dal carcere la voce della mafia però nega qualsiasi coinvolgimento.
Certo, si potrebbe pensare ad un trattamento specifico e del tutto inedito, ma precedenti di sangue ci dicono che anche in questo casi i mezzi utilizzati sono ben altri. È giusto comunque non escludere niente.
Le indagini
Spunta un nome ed è ascrivibile alla prima pista, è un uomo di 50 anni, ex buttafuori in una sala bingo, poi impiegato nella profumeria della sua compagna, e avrebbe un movente. Aveva scelto il penalista come suo difensore dopo che la detenzione illegale di un fucile con matricola abrasa gli era costata il carcere. Sullo sfondo, un processo che non sarebbe andato nel senso delle aspettative del cliente. A provocare l’iscrizione nel registro degli indagati per l’omicidio Fragalà, il ritrovamento nella sua abitazione di due caschi integrali, un bastone di rattan e altri oggetti compatibili con quelli utilizzati durante l’aggressione del 23 febbraio. Poco tempo dopo però il cinquantenne uscirà dall’inchiesta e vi entrerà un palermitano di 32 anni, non cliente dell’avvocato, ma pregiudicato e ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di Porta Nuova (e qui di nuovo la pista della criminalità organizzata). Anche a lui gli inquirenti sequestrano un casco da moto, un giubbotto, le scarpe. Come chiarito all’inizio, i pm ne hanno chiesto l’archiviazione dopo che gli esami negativi del Ris di Messina lo avevano completamente scagionato e con tutta probabilità il fascicolo tornerà a carico di ignoti. Si torna al punto di partenza.
La miniera di Pasquasia e altre storie
Sarà il giornalista catanese Antonio Condorelli, in questa gelatina di incertezze a fornire una nuova chiave di lettura al delitto irrisolto: la cava di Pasquasia. Gallina dalle uova d’oro per la Italkali, che la gestiva, venne chiusa nel 1992 dai magistrati di Enna, alla vicenda si aggiunsero le dichiarazioni del pentito Leonardo Messina che la descrissero come centro di smaltimento rifiuti atomici importati dall’Est Europa, ad uso e consumo di Cosa Nostra. Sembra che Enzo Fragalà se ne fosse occupato attivamente. Ancora appassionato impegno aveva contraddistinto però Fragalà anche in un’altra terrificante vicenda. La notte del 16 aprile 1973, un commando di attivisti di Potere Operaio incendiò l’appartamento a Primavalle del segretario di una sezione dell’M.S.I, provocando la morte dei figli Virgilio di 22 anni e Stefano di 10. L’attentato rimarrà totalmente impunito. Alla riapertura delle indagini nel 2005 Fragalà è capogruppo della commissione Mitrokhin e si fionda nell’inchiesta: annuncia l’invio di due rogatorie in Brasile e in Nicaragua per interrogare i latitanti autori del delitto per loro stessa ammissione.
Le parole dell’avvocato
Fragalà, nel corso delle sue indagini dichiarerà: “Vi sono inoltre innegabili coincidenze e sovrapposizioni fra la rete di esfiltrazione di Potere Operaio utilizzata dagli assassini dei fratelli Mattei per sfuggire alla giustizia e rendersi latitanti, e quella del terrorismo internazionale gestita da alcuni uomini di Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos. L’interesse della Commissione Mitrokhin per la vicenda Primavalle dunque è, sotto questo profilo, ben comprensibile”. Ancora Fragalà: ”Le dichiarazioni di alcuni ex-esponenti di primo piano di Potere Operaio, così come alcune carte agli atti della Commissione (…) fanno capire che esisteva una vera e propria rete per aiutare i compagni in difficoltà, per farli fuggire, per dar loro nuove identità, attraverso passaporti falsi, per offrire alloggio e perfino lavoro. E questa rete, di cui ha parlato recentemente e apertamente Franco Piperno, ha imbarazzanti punti di contatto, soprattutto in Svizzera, con l’organizzazione “Separat” guidata da Carlos. (…)
È importante anche capire il vero ruolo di “Lavoro Illegale”, la struttura segreta e fuorilegge di Potere Operaio, sia nella vicenda della strage vera e propria, sia negli atti di violenza che si consumarono a più riprese in quel periodo da parte di Potere Operaio, sia nella sua gestione della rete di esfiltrazione, sia, infine, nell’approvvigionamento delle armi, soprattutto in Svizzera, e nei contatti con altre organizzazioni eversive.”
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