Della Sicilia non frega a nessuno | Tutti a caccia dei voti di Alfano

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09 Agosto 2017, 18:34

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Ma la Sicilia dov’è? Nel calciomercato dei candidati e dell’alleanze, nella vetrina un po’ indecente di nomi e amicizie, nei sussurri e nelle grida spifferati dalle parti in causa ai giornali, per orientare e blandire, spicca la domanda delle domande.

C’è qualcuno – a parte i grillini che, pur con tanti difetti, hanno il merito della coerenza – che si sforzi di dire qualcosa di siciliano, nell’interesse di una terra derelitta, interamente da ricostruire, palmo dopo palmo, grazie ai ‘successi’ del Crocettismo?

C’è qualcuno che abbia il coraggio di presentarsi, con le sue stimmate, con le sue colpe, con le sue idee a sostegno di un progetto su cui aggregare buone intenzioni, fregandosene del bilancino delle percentuali, dell’aritmetica dei niente che si sommano e compongono, invariabilmente, il nulla? Forse il solo Nello Musumeci – nel mazzo delle vecchie conoscenze – ha avuto il senso politico e la furbizia tattica di non nascondersi, fin qui, con quel suo pizzetto fascistissimo e retrò che innumerevoli consiglieri per l’immagine gli hanno suggerito di tagliare. E lui, invece no, non lo taglia.

Gli altri invece considerano la poverissima e buttanissima Sicilia alla stregua di un mezzo per ottenere un fine. Uno sgabello su cui montare per raggiungere una carriera, uno stipendio, un risultato. L’Isola, a chiacchiere gemma splendente del discorso generale, rappresenta, nella mappa delle convenienze private, una pillola miracolosa, un elisir a cui chiedere, se non una lunga vita, una fortuita sopravvivenza.

Cominciamo dal centrosinistra che sa perfettamente di andare incontro a una catastrofe inevitabile, per via di Rosario Crocetta. Pd e soci, per quanto si affannino e inventino esorcismi ormai quotidiani, non possono spiegare il Crocettismo che hanno foraggiato, riservandosi la viltà di continui calcetti negli stinchi che servivano a fingere distanza, pur nella condivisione di una greppia comune.

Pietro Grasso, patrono delle speranze dissolte, ha rifiutato la cicuta della candidatura spacciata per calice di gloria e forse lui solo avrebbe potuto ispirare una vittoria risicata o una sconfitta dignitosa. La certezza del disastro sposta in avanti la questione: si lavora per Palazzo d’Orleans, pensando a Palazzo Chigi. Si prepara la campagna siciliana per tessere una trama di alleanze che possa frenare l’avanzata a Cinque Stelle nelle prossime elezioni nazionali. Ecco perché è molto più importante sommare le forze e valutare futuribili merci di scambio con gli alfaniani: una sparuta pattuglia che potrebbe avere un suo peso nella contradanza dei giochi e dei giochini romani.

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Dunque, Casini riemerge dal sepolcro dell’oblio e accelera, dando l’accordo per quasi compiuto. Faraone gongola, correndo a mettere il cappello, forse perché sente sul collo il fiato di altri fedelissimi pronti a succedergli nell’albo del renzismo, in mancanza di risultati. E deve essere Castiglione a smorzare gli entusiasmi e poi a rinfocolarli con comunicatini differenti che provocano altalenanti fibrillazioni. La politica tutta che pende dalle labbra di Giuseppe Castiglione da Bronte. Con affettuoso rispetto per il pistacchio, ma si può?

E c’è il centrodestra che pure avrebbe maggiori occasioni del centrosinistra di giocarsela, se solo trovasse il bandolo della matassa dell’unità lacerata. Ma anche laggiù chi ci capisce niente, tra le voci e i sussurri del calcio mercato?

Gianfranco Micciché, al levare delle mense di Arcore, annuncia, pure lui, una ritrovata sintonia con Angelino Alfano e inserisce, tra i commensali di Berlusconi, il professore Gaetano Armao, tanto per confondere ciò che appare già confuso. Le cronache riportano resoconti diametralmente opposti del simposio arcoriano. Alfano ha detto sì. Alfano ha detto no. Alfano ha detto nì. Ed è uno sfrenato interpretare occhiate, sibili, mezze frasi. Con il sospetto che il rogo della divisione sia appiccato continuamente da scrupolosi piromani che della Sicilia non potrebbero avere meno cura. Perché vogliono, soprattutto e fortissimamente, regnare in un feudo personale, fosse anche un regno di macerie.

Nel caos, Angelino troneggia quale stella di imperitura mediocrità politica, un nano di consensi, reso gigante dalla statura ancora più bassa di coloro che lo circondano. Lo sfottono. Lo criticano. Lo attaccano. Lo indicano quale esempio di consunto arci-italiano, orientato sulla poltrona. Infine, strisciano al suo cospetto per uno zero virgola in più. Lui sghignazza. E fa bene.

Come ride a piena gola Giancarlo Cancelleri, competitor pentastellato che sta già preparando la trazzera per la presidenza. Il populismo grillino è un eccesso, ma almeno ha dietro di sé un popolo, seppure rabbioso e vociante. E quella gente non vede l’ora di somministrare un calcione nelle terga delle maschere e dei servi di scena che stanno dando lo spettacolo della presente farsa elettorale. Il misero show di appetiti e inciuci sul palco della Sicilia ridotta a mercatino del nulla.

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09 Agosto 2017, 18:34

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