30 Giugno 2010, 19:26
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Dopo l’attesa per la sentenza che ieri ha condannato Marcello Dell’Utri a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, comincia un altro count down in Procura e negli studi dei legali del senatore del Pdl. Entro la fine di settembre i giudici della seconda sezione della Corte d’appello di Palermo, che hanno giudicato Dell’Utri, dovranno infatti stilare le motivazioni di una decisione che ha lasciato stupito il procuratore generale Nino Gatto, che per il senatore aveva chiesto la condanna a undici anni.
Ad agitare le notti del Pg è quell’assoluzione per i fatti successivi al 1992 e quindi al rapporto, secondo l’accusa “assolutamente inconfutabile”, tra il cofondatore di Forza Italia e i fratelli Graviano, boss stragisti di Brancaccio. Un colpo di spugna che fa diminuire anche il termine per la prescrizione. Secondo calcoli “forfettari” partendo dal 1992, e considerando che servono circa 22 anni e mezzo per la prescrizione del concorso in associazione mafiosa, la “scappatoia” dovrebbe scattare nel 2014.
“I calcoli sono questi – spiega Giuseppe Di Peri, legale di Dell’Utri – In ogni caso, per il momento pensiamo solo al ricorso in Cassazione”. Solo un rinvio della suprema corte e un nuovo appello potrebbero quindi eventualmente salvare il senatore, che secondo il procuratore generale “ha poco da festeggiare”. “Non capisco davvero – dice Gatto – come in questo Paese si possa gioire per una condanna, anche se ridotta in appello. E’ già la seconda volta nel giro di poco tempo”. Parere condiviso anche da un altro procuratore palermitano, Antonio Ingroia, che con le sue indagini sulla trattativa tra mafia e pezzi dello Stato nel periodo delle stragi potrebbe chiamare nuovamente in causa Dell’Utri. “La reazione di gran parte del mondo politico, che ha provato a presentare una condanna come una assoluzione dà il segno di una anomalia tutta italiana – spiega – Quella di ieri non è una sentenza ‘pilatesca’. Gran parte del giudizio di primo grado è confermato”.
Non si sbilancia, invece, il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso. “Dopo aver fatto tutto il possibile per portare avanti il contrasto alla criminalità organizzata – dice – non mi sento né deluso, né illuso, dalla sentenza dei giudici di Palermo su Marcello Dell’Utri”. L’atmosfera da battaglia, in aula e fuori, e l’escalation di polemiche che hanno preceduto la lettura del dispositivo, coinvolgendo la corte, hanno lasciato uno strascico velenoso ma soprattutto hanno indotto la prima commissione del Consiglio superiore della magistratura ad aprire una pratica a tutela dei tre giudici. Oggetto della pratica è il contenuto di alcuni articoli di stampa pubblicati prima della sentenza e in cui, secondo la commissione, i giudici Claudio Dall’Acqua, Sergio La Commare e Salvatore Barresi sarebbero stati oggetto di “insinuazioni e sospetti” che getterebbero “discredito sulla magistratura giudicante”. La Commissione dovrà ora valutare se con questi articoli sia stata messa in atto una delegittimazione del collegio e lo farà al termine di un’istruttoria con l’acquisizione di documenti e probabilmente anche di una relazione del presidente della Corte di appello di Palermo. Solo allora la prima commissione deciderà se mettere a punto un documento di tutela dei tre magistrati da sottoporre poi all’esame del plenum del Csm.
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30 Giugno 2010, 19:26