13 Settembre 2021, 14:37
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Bisogna provare a mettere ordine nella storia della scomparsa di Denise Pipitone. Ed è probabilmente questo il punto di partenza della Procura di Marsala che ha riaperto l’inchiesta.
Ci sono spunti nuovi che vanno incrociati con vicende e personaggi del passato. Lo dimostra l’esigenza di tornare ad ispezionare (le ricerche si sono concluse con un nulla di fatto) la vecchia casa dove abitava Anna Corona, madre di Jessica Pulizzi, la sorellastra di Denise.
Nei processi celebrati e chiusi con l’assoluzione per insufficienza di prove sono state scandagliate intercettazioni su cui oggi si torna a discutere. Ad esempio quando, mentre si trovavano in commissariato, Jessica disse alla madre Anna Corona: “Quando ero con Alice ho preso e a casa gliel’ho portata”.
Cosa aveva preso e a chi l’aveva portata? Non si è mai giunti alla certezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, che stesse parlando di Denise e del fatto che l’avesse condotta a casa del padre per avere da lui la conferma che fosse la sorella naturale. Non trovandolo, avrebbe poi consegnato la bambina ad altre persone, mai identificate, che l’avrebbero fatta sparire.
Prima dei poliziotti a “interrogare” Jessica Pulizzi fu la madre. Le microspie intercettarono una loro conversazione in commissariato a Mazara del Vallo, in quel maledetto settembre del 2004 in cui si persero le tracce di Denise Pipitone.
Anna Corona voleva sapere se la figlia avesse avuto un ruolo nella scomparsa della bimba. Il dialogo fu valutato come genuino dagli investigatori.
E adesso, 17 anni dopo la scomparsa, ogni parola registrata allora viene riletta nella speranza di trovare nuovi spunti anche quelli confluiti nei processi chiusi con l’assoluzione definitiva. Nell’inchiesta, ripartita ormai da settimane, non si guarda soltanto alle parole dell’anonimo che dice di avere visto Denise piangere e urlare “aiuto mamma” mentre tre uomini la portavano via a bordo di una macchina.
“Da questa maledetta strada ci sei passata magari?, chiedeva Anna Corona. E la figlia: “No”. “Questa bambina l’hai vista?“, e nuova secca risposta: “No”.
La madre la incalzava: “Stai dicendo la verità?, “Sì”. “Tu ci hai parlato davanti a Dio con questa bambina?”, “No, non ci ho parlato mai no, non solo quel giorno”. “Nemmeno è successa nessuna fesseria?”, “Di nuovo, no ti dissi no, ma se ti dico di no e no mamma basta”. Anna Corona non mollava la presa: “Sei a posto con la tua coscienza”, “Sì”. “Jessica guardami negli occhi, io sono una persona credente, come madre ti dico, hai problemi con la tua coscienza davanti a Gesù Cristo”. Ancora una volta la risposta era tranciante: “Sì, nemmeno queste domande tu mi dovresti fare”.
Gli investigatori studiarono a fondo le intercettazioni e ritennero che non era plausibile che madre e figlia, all’epoca diciassettenne, si fossero messe d’accordo pur sapendo di avere avuto un ruolo nel rapimento.
Da dove nasceva in Anna Corona l’esigenza di quella raffica di domande? Probabilmente dal fatto che lei per prima era conscia del clima pesante che si respirava in famiglia, dove tutti erano convinti che la relazione fra Piera Maggio e Piero Pulizzi fosse la causa della fine del matrimonio con Anna Corona. La figlia aveva addirittura tagliato le gomme della macchina di Piera Maggio, quando un giorno si accorse che il padre le aveva comprato un vestito. Agli atti del processo ci sono i resoconti delle telefonate anonime e dei pedinamenti subiti da Piera Maggio.
Una volta anche la stessa Anna Corona, nel 1999, si piazzò sotto l’abitazione della mamma di Densie nella speranza che scendesse per manifestarle la sua collera. Tutto questo, secondo l’accusa, costituiva il movente del rapimento, ma Jessica è stata assolta con sentenza definitiva e la posizione della madre archiviata.
Mentre si trovavano in commissariato Jessica disse alla madre la frase che più di altre ha fatto discutere: “Quando ero con Alice ho preso e a casa gliel’ho portata”. Cosa aveva preso e a chi l’aveva portata? Non si è mai giunti alla certezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, che stesse parlando di Denise e del fatto che l’avesse condotta a casa del padre per avere da Pietro Pulizzi la conferma che Denise fosse la sorella naturale. Non trovandolo, avrebbe poi consegnato la bambina ad altre persone, mai identificate, che l’avrebbero fatta sparire.
Ed è stata scandagliata con l’aiuto degli esperti anche la frase, entrata nel processo di appello, “eravamo a casa… la mamma l’ha uccisa a Denise”, appena sussurrata l’11 ottobre 2004, un mese e dieci giorni dopo la scomparsa della bambina, da Jessica alla sorella Alice. Era un audio disturbato, nessuna certezza che fossero davvero quelle le parole pronunciate.
Ai giudici che mandarono assolta Jessica Pulizzi sembrò impossibile che, dopo avere ascoltato la confessione della figlia, Anna Corona fosse stata in grado di manifestare “una eccezionale quindi probabilisticamente non comune freddezza di fronte alla rivelazione circa la partecipazione ad una così grave azione delittuosa”. E così l’ipotesi più plausibile fu ritenuta quella secondo cui, mancava la parte iniziale della conversazione che nulla aveva a che fare con la povera Denise.
Altra vecchia intercettazione è quella fra Jessica e il fidanzato di allora, Fabrizio, registrata l’11 dicembre 2004. Si erano visti e appartati in un casale di campagna. Lì, lui le chiese: “E ora vi ammazzo a tutti… anche d’errore ce l’ammazzasti a chidda?”. Fabrizio disse che probabilmente stava parlando delle galline dello Zio Paolo. Che avesse intento di mistificare o depistare è stato escluso visto che nel corso delle indagini era stato proprio il ragazzo a sollevare sospetti sul coinvolgimento di Jessica nella sparizione di Denise.
Infine c’è un’altra conversazione che letta a distanza di diciassette anni mette i brividi. Forse il caso ha voluto complicare le cose o semplicemente mostrare quanto complicate lo fossero già allora.
Il 24 novembre 2004 fu registrata una conversazione fra Alice e Jessica Pulizzi a bordo di uno scooter. Parlavano di festività natalizie e regali. Ad un certo punto lo scooter si fermò. Nei nastri magnetici rimasero impresse due voci maschili: “Ma vai a prendere a Denise… ma Peppe cosa ti ha detto dove la devo portare?”; “Fuori”.
Gli inquirenti scrissero: “Nessun esito hanno dato le indagini volte a individuare gli uomini di quella conversazione consistite nell’esaminare 13 padri di bambine di nome Denise i cui nominativi furono tratti dagli elenchi anagrafici del comune”. Nessun cenno di saluto, d’intesa fra le sorelle e i due uomini. La microspia stava registrando una delle mille conversazioni in un luogo pubblico di una città dove Denise è stata inghiottita nel nulla. (CONTINUA)
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