21 Dicembre 2014, 06:27
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CATANIA – “Ero una vittima del pizzo”. Quando andò a denunciare i suoi estortori, dopo quasi quindici anni di usura, sperava che il peggio da lì a breve sarebbe finito e invece qualche giorno dopo la segnalazione alle forze dell’Ordine, era lo scorso luglio, la sua tabaccheria è stato chiusa dopo ben venticinque anni di attività. “I miei fornitori Sisal, Snai, Lottomatica, Ibanca, tutte società con concessioni dello Stato, hanno interrotto i servizi, nonostante il pm abbia stabilito, così come la Prefettura, che io possa usufruire di un fondo di solidarietà da 200mila euro riservato alle vittime di estorsione”. A parlare è Pietro nome di fantasia con il quale indicheremo la vittima del racket che si è consumato in un paesino etneo.
“Come tutti oggi giorno gestivo con sacrificio e dedizione la mia attività nell’hinterland insieme a mia moglie, da poco ci dava una mano anche nostra figlia – prosegue l’uomo, cinquantenne – il problema per le società fornitrici dei servizi, nei confronti delle quali sono debitore, consiste nell’attuale mancanza di liquidità per colmare i debiti – precisa – io non so quando i fondi verranno sbloccati, il procedimento è in corso, purtroppo non dipende da me, so per certo che una volta sbloccata tutti avranno quanto dovuto”.
Sul caso è intervenuta il presidente di Confedercontribuenti. “Questa vicenda è sconcertante – denuncia Finocchiaro – specie se i soggetti che non permettono il riavvio dell’attività sono per la maggior parte concessionari dello Stato, che fanno fior di milioni di utili. Questo rende ancor piu’ grave la situazione. Per questo chiediamo un intervento deciso da parte del Ministro degli interni per non far perdere la speranza a chi ha avuto il coraggio di denunciare”.
Il paradosso. “Da una parte lo Stato mi aiuta – prosegue il padre di famiglia – dall’altro invece mi porta sul lastrico essendoquesti fornitori tutte società con concessione statale”. Da mesi la famiglia del tabaccaio vive infatti sulle spalle di Luigi, papà del cinquantenne. “Mio padre ha 87 anni – spiega la vittima dell’usura – percepisce una pensione da 700euro, con questi soldi deve provvedere alle sue spese e alle nostre. Così non possiamo continuare, la nostra ad oggi non è vita, noi da cinque mesi sopravviviamo”.
Era il 2001 quando Pietro iniziò a cedere alle richieste dei suoi aguzzini: “I segnali erano tanti, subii ben sette rapine nel giro di una settimana, una al giorno, con un danno di oltre 200 milioni di vecchie lire, venni incappucciato, sette uomini fecero irruzione nel mio negozio, tutti erano armati.. da quel momento decisi di pagare, la paura era tanta”. Cinquecento euro al mese per i primi tempi, poi la cifra si moltiplicò, triplicò, fino ad arrivare a ben dieci mila euro al mese negli ultimi tempi “negli anni le minacce sono state tante – confessa Pietro nel suo lungo racconto rilasciato ai nostri microfoni – sono stato costretto a vendere una casa, un terreno e un garage, lo scorso luglio presi la decisione di parlarne con Carmelo Finocchiaro presidente Confedercontribuenti il quale mi fu di vero aiuto, così ci recammo dalle forze dell’ordine, ormai ero arrivato ad un bivio: cedere la mia tabaccheria a questi delinquenti o denunciare”.
Una storia complessa fatta di paura, ma anche coraggio. Una vicenda che al momento non ha ancora un lieto fine. A chi vuole rivolgere il suo appello? “Ai miei fornitori ho inviato già tantissime note, spero che la scelta di diffondere alla stampa la mia storia possa sensibilizzarli ulteriormente”, e a chi vive nelle mani del racket cosa vorrebbe dire? “So che non è facile denunciare – conclude Pietro – sono stato costretto a sparire dalla circolazione per un po’ insieme alla mia famiglia, abbiamo avuto paura e tutt’ora non siamo sereni, ma è vero anche che non si può vivere per sempre nelle mani del pizzo, ho incontrato persone eccezionali nelle forze dell’Ordine, io ho fiducia in loro, invito i tanti commerciali vittima di usura a fare lo stesso”.
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21 Dicembre 2014, 06:27