15 Febbraio 2016, 13:46
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PESCARA – “Il delitto di Peppino Impastato va ricordato perché è la vicenda madre della trattativa Stato-Mafia. Per lui venne attuata un’azione di clamoroso depistaggio delle indagini per il quale si vuole far passare Impastato per un suicida o per un attentatore. Se c’è depistaggio, non passa tra le mani di un Totò Riina o di un Badalamenti: sono cose che passano attraverso le mani di esponenti delle istituzioni, quindi chiediamoci cosa c’è dietro, cosa si vuole nascondere”. Lo ha detto il giudice Nino Di Matteo all’iniziativa ‘Dalla parte della legalità’ durante la quale ha ricevuto la cittadinanza onoraria da nove comuni abruzzesi.
Secondo Di Matteo queste ‘stranezze’ ci sono “in troppi delitti eccellenti, è una costante. Sappiamo chi ha ucciso Dalla Chiesa, ma non sappiamo chi ha prelevato appunti e diari dalla sua cassaforte. Conosciamo il nome di chi ha schiacciato il bottone del tritolo per Falcone ma non come sia stato possibile trovare il suo computer al ministero vuoto e manomesso. Così come per Borsellino: aveva un’agenda rossa, e ora non c’è più”.
“Non è importante sapere se ho paura, conta fare piena luce sulle stragi del 1992 e 1993, trovando la forza e il coraggio di indagare non soltanto sugli esecutori materiali, ma anche su chi ha voluto e ispirato gli accordi con la mafia, e su chi ha gradito l’eliminazione di certi bersagli”. Così il giudice Nino Di Matteo, in merito all’inchiesta sui rapporti Stato-mafia, a margine dell’iniziativa “Dalla parte della legalità” che si è tenuta questa mattina a Pescara. “C’è l’esigenza di continuare a percorre la strada della verità – ha proseguito Di Matteo -. Lo dobbiamo anche alla memoria dei nostri morti”. (ANSA)
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15 Febbraio 2016, 13:46