“Lotta alla mafia a due velocità| Ipocrisia per Falcone e Borsellino”

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19 Maggio 2013, 14:24

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PALERMO – “Non condivido la scelta di Ingroia, ma l’ho rispettata e mi fa specie vedere come, rispetto a una persona in difficoltà, tutti vi si buttino come corvi per cercare di colpirlo”.  Ha esordito così il pm Nino Di Matteo che indaga sulla trattativa Stato- mafia a Palermo, all’incontro organizzato da Addiopizzo al Giardino Inglese. “Premesso questo io – aggiunge il magistrato – continuerò a fare il mio dovere ragionando soltanto in termini processuali, come abbiamo sempre fatto anche in questi giorni con la scelta di inserire determinate cariche dello Stato nella lista dei testimoni, perché evidentemente era opportuno e necessario che queste cariche dello Stato venissero a rispondere in funzione dell’accertamento della verità. Quindi ascolto in silenzio i commenti fatti in questi giorni, e non ho nessun motivo per replicare”.

“Voi cittadini dovete pretendere da noi che le nostre scelte siano improntate al rispetto della legge e alla opportunità processuale, non politica il magistrato non agisce per opportunità politica ma per accertare la verità secondo il criterio dell’obbligatorietà dell’azione penale, secondo il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge e considerando che la testimonianza è un dovere civico per tutti”.

“Nel rapporto tra mafia e politica – ha proseguito il pm – spesso ci si limita alla sola responsabilità penale come se ciò esaurisse la cattiva condotta in un comportamento. Quando si rileva questo si è tacciati di sminuire il ruolo della politica rispetto ai partiti. Si dimentica cosi la relazione antimafia di Pio La Torre, quello si che è stato invece l’esempio di una politica vera, di una politica antimafia”.

“Oggi accade che nella gran parte dei casi quella politica vicina all’indagato di turno attacca la magistratura definendola politicizzata – ha aggiunto Di Matteo – mentre, nel ‘migliore’ dei casi, le reazioni sono quelle che dicono di dover aspettare l’esito del processo: ma questa è un’ipocrisia che delega alla magistratura la risoluzione del fenomeno mafia-politica. Faccio un esempio banale – ha ipotizzato il pm – se io sono un candidato alle elezioni e so chi è il capomafia di quel paese e consapevole di ciò gli vado a chiedere voti, per il codice penale non ho commesso reati e l’indagine della magistratura si chiuderà con un’ archiviazione o un proscioglimento, ma sappiamo tutti quale significato sociale in questa terra abbiano queste condotte. Perché i partiti non fanno valere responsabilità di tipo politico al di là di quella penale?”.

“Fino alle politiche del 2008 sono stati candidati il senatore Cuffaro nelle file dell’Udc o dell’Utri nelle file di Forza Italia collocandoli oltretutto in modo tale da garantire la loro elezione – ha detto il Pm – ma che politica è quella che delega il contrasto alla mafia solo all’azione repressiva?”.

“Per tanti, troppi, i magistrati sono da onorare solo da morti; sono, siamo stanchi dell’ipocrisia di chi, quando erano in vita Falcone e Borsellino, non esitava a definirli ‘giudici politicizzati’, mentre, dopo che sono morti si finge di onorarli e si contrappone la loro condotta ai magistrati vivi per affermare che mai avrebbero agito come loro. Ma è un falso storico”.

“Tanti autorevoli esponenti politici anche allora criticarono Falcone e Borsellino per la loro partecipazione al dibattito pubblico – ha aggiunto Di Matteo – Borsellino subì anche un procedimento disciplinare per difendersi di fronte al Csm per la denuncia di smantellamento del pool antimafia che aveva fatto. Adesso questo ambienti che prima attaccavano Falcone e Borsellino hanno attaccato altri magistrati dicendo che Falcone e Borsellino non lo avrebbero mai fatto: è un falso storico. Non possiamo e non dobbiamo parlare di processi in corso, ma possiamo e dobbiamo partecipare alla vita pubblica”.

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“Il rapporto con i media deve essere quello di ripristinare la verità di fronte a falsi che, ripetuti, diventano quasi realtà, per i lettori – ha chiosato Di Matteo – come quando si dice che la separazione delle carriere tra Pm e giudici è necessaria perché i giudici sono appiattiti di fronte a richieste del pm, ma è un falso”.

“Da un punto di vista militare la mafia è diversa da quella del 1992; ma registriamo l’assenza di una legge che punisca l’auto riciclaggio, un sistema odierno di prescrizione molto breve che vanifica il lavoro del processo penale, una legge sulla corruzione come quella dell’anno scorso che pare quasi una presa in giro”.

“Tutti questi fattori – ha aggiunto il magistrato – rendono difficile l’individuazione e la repressione di tutte quelle condotte penalmente rilevanti, come la turbativa d’asta, la corruzione o la concussione, attraverso le quali la mafia penetra nella vita sociale”.

“Ci sembra di trovarci – ha concluso Di Matteo – di fronte a un sistema a due velocità: giustamente efficace quando si tratta di procedere nei confronti dell’estorsore o del trafficante, quasi timido nei confronti del politico colluso con la mafia”.

 “Prendiamo atto della sentenza della corte costituzionale sulla distruzione delle intercettazioni che hanno riguardato Mancino. Siamo fieri che quelle conversazioni sono rimaste segrete: non è uscita una riga in proposito, ma quello che poi è avvenuto in termini di attacchi alla Procura di Palermo è sotto gli occhi di tutti”.

“Certo, prendo atto, e qui faccio una constatazione di fondo – ha concluso Di Matteo – che altre conversazioni dello stesso Capo dello Stato e di quello che lo aveva preceduto, ugualmente irrilevanti dal punto di vista penale, erano invece state da altre Procure trascritte, depositate a disposizione delle parti, ed erano state pubblicate dai giornali. In quei casi non è stato sollevato alcun conflitto di attribuzioni – osserva Di Matteo – nel nostro caso, invece si”.

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19 Maggio 2013, 14:24

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