Di Matteo: “Trattativa Stato-mafia? | Emerge dalle parole dei pentiti”

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20 Dicembre 2017, 12:27

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PALERMO – “Altro che processo basato sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino. Che ci sia stata una trattativa fra i boss e rappresentanti delle istituzioni emerge dalla lettura delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia”. Con queste parole il pubblico ministero Antonino Di Matteo prova a smarcare la ricostruzione dell’accusa dalle traballanti dichiarazioni del figlio di don Vito Ciancimino.

Per farlo si rifà soprattutto alle dichiarazioni di Salvatore Cancemi. Fu Cancemi infatti a raccontare di una riunione avvenuta nel giugno del 1992 dietro Villa Serena, a Palermo, nell’abitazione di Girolamo Guddo. “È vero – sostiene Di Matteo – che Massimo Ciancimino ha delle gravi responsabilità venute a galla nelle sentenze di condanna ormai definitive, ma non si può non riconoscergli il merito di avere sollevato questioni dimenticate da pezzi delle istituzioni”. Così come non si può dimenticare che alcune delle cose che ha raccontato sono state riscontrate. Nel corso della riunione del giugno ’92, ha raccontato Cancemi, Salvatore Riina “si assunse la responsabilità di uccidere Paolo Borsellino”. In quella stessa riunione il padrino “tirò fuori un foglio di carta in cui c’erano scritte le richieste” da presentare ai suoi interlocutori istituzionali. Si andava dal sequestro dei beni al 41 bis fino alla legge sui pentiti. Ed ancora in quella circostanza aggiunse che “andava coltivato il rapporto con Silvio Berlusconi e Marcello DellUtri”.

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“Non è – afferma Di Matteo – un racconto del relato ma proviene dalla voce di un autorevole capomafia. Sono dichiarazioni che secondo il pm riscontrano quanto ha detto di recente Giuseppe Graviano, intercettato in carcere e di cui si stanno occupando altre procure che hanno riaperto le indagini su Berlusconi e Dell’Utri”. Cancemi anticiperebbe ciò che avvenne due anni dopo nel 94, quando Berlusconi divenne secondo l’accusa l’interlocutore governativo dopo le bombe del 93. Sarebbe stato lui il nuovo terminale della trattativa fra i boss e le istituzioni. E fu proprio Berlusconi da presidente del consiglio “a scegliere il generale Mario Mori, perno della trattativa, per dirigere i servizi segreti. Cancemi durante la sua collaborazione non raccontò subito di Berlusconi e Dell’Utri. Lo fece solo nel ’98. Anche questo ritardo avrebbe una giustificazione dettata dalla paura di coinvolgere personaggi politici troppo importanti”.

Un ricordo tardivo che a detta del pubblico ministero potrebbe scaturire dal fatto che proprio i carabinieri del Ros “gestivano l’iniziale collaborazione di Cancemi”. A riscontro della sua ricostruzione Di Matteo cita un manoscritto “di certa attribuzione a Vito Ciancimino trovato nel ’96 nella sua cella del carcere di Rebibbia. Un manoscritto in cui l’ex sindaco mafioso di Palermo sosteneva che se Cancemi avesse fatto parte davvero della Cupola mafiosa non poteva non sapere dell’accordo con i carabinieri per la trattativa”. Dunque ci sarebbe la conferma che Vito Ciancimino era al corrente del patto. La requisitoria del processo è ancora in corso in aula davanti alla Corte d’Assise presieduta da Alfredo a Montalto oltre a Di Matteo. Ci sono i pubblici ministeri Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.

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20 Dicembre 2017, 12:27

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