Dieci furti con l’impiegato-basista| Come “facevano cassa” i pusher

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04 Dicembre 2014, 16:22

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PALERMO – Furti sfociati spesso in rapine e aggressioni, ricettazione ed estorsione con la tecnica del “cavallo di ritorno”. L’acquisto dei carichi di droga da piazzare nel mercato palermitano doveva basarsi su canali d’approvvigionamento economico sicuri, per questo i pusher finiti in manette oggi nell’operazione dei carabinieri “Aquarium” erano disposti a tutto pur di rimpinguare le loro casse. I militari avrebbero accertato che Salvatore Boscarino, Alessio Napolitano, Silvio Giuseppe Napolitano e Dario Cilfone erano a capo della banda che negli ultimi mesi aveva seminato il panico a Termini Imerese. I quattro, per i quali è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, secondo l’accusa formavano un gruppo criminale dedito soprattutto ai furti nelle attività commerciali.

Nel loro mirino era finito, in particolare, un negozio di prodotti per animali che si trova proprio a Termini Imerese. Dieci i colpi messi a segno presso l’esercizio commerciale “Aquarium”, da cui prende il nome il blitz che ha condotto ai quindici arresti, dove veniva prelevata la merce puntualmente venduta a ricettatori. Il gruppo di Termini avrebbe potuto contare su “clienti” compiacenti che, in questo modo, lo avrebbero finanziato permettendogli di accumulare il capitale necessario all’acquisto della droga. Nel caso del negozio di mangimi per animali i malviventi avrebbero avuto chi spianava loro la strada: gli investigatori, coordinati dalla Procura di Termini Imerese, hanno individuato come basista un dipendente, Salvatore Boscarino: conosceva ogni angolo del locale e sapeva quando fare entrare in azione i complici, ai quali veniva lasciata la porta del retro del negozio aperta.

Secondo la ricostruzione degli investigatori, la banda era così pronta a rivendere antiparassitari, articoli per la pesca e mangimi per animali domestici e d’allevamento. Il modus operandi venuto a galla dalle indagini è chiaro: Boscarino permetteva ai complici di fare irruzione nell’attività commerciale di via Togliatti e dopo avere stilato l’elenco della merce da trafugare – su richiesta dei ricettatori – tornava di notte al negozio per unirsi agli altri. In un caso, il prodotto richiesto non era presente in magazzino e i Napolitano avevano condiviso la loro preoccupazione con Boscarino, temevano di non guadagnare nulla. Il dipendente del negozio, però, aveva consigliato loro di stare calmi perché la titolare avrebbe potuto sospettare qualcosa.

Boscarino: “Senza guadagnare niente, gli devo portare solo quelle cose a quelli, non è che ci possiamo prendere di più”
Napolitano A.: “Ah, niente ci dobbiamo vuscare?”
Boscarino: “E non vuschi”
Napolitano A.: “Cioè, neanche una lira in tasca?”
Boscarino: “E dove la dobbiamo andare a prendere la scagliola? Non ce n’è più. ieri se ne stava accorgendo, meno male che gliel’ho girata…che gli ho detto…”
Napolitano Giuseppe: “Magari quattro sacchi, li usciamo là”.

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Una volta rivenduti i prodotti, il ricavato sarebbe stato utilizzato per acquistare cocaina a Palermo.
Lo spaccato quotidiano dell’attività di recupero della droga e del successivo spaccio delinea la formazione di diversi gruppi tra loro collegati. Il primo era formato da Orazio Cefalù, Francesco Gazzano e Francesco Duca, che in base alle indagini avrebbero spacciato hashish nei pressi della stazione ferroviaria di Termini Imerese: tutti e tre sono finiti ai domiciliari. Il secondo gruppo avrebbe potuto contare sui fidanzati Rosario Cozzo e Rosa Mantia nonché dalla madre di quest’ultima, Carmela Scarcipino Pattarello, che avrebbero spacciato nelle loro abitazioni.

La terza banda dedita allo spaccio sarebbe stata formata da Gianluca Fasone e sua cognata Maria Lauretana Governara detta “Valentina”. Tra Termini Imerese e Palermo c’era un vero e proprio ponte, attraverso il quale i pusher potevano rivolgersi a due giovani incensurati. Due insospettabili, ovvero Mario Cangelosi, impiegato presso una finanziaria e Giuseppe Virzì, detto “Ivan”: entrambi avrebbero creato una capillare rete di spaccio nella zona di piazza Lolli, nel cuore della città. Le intercettazioni svelano un altro dei metodi per fare cassa che vede protagonista proprio Cangelosi, che aveva assoldato un palermitano per far recuperare ai legittimi proprietari delle moto rubate dietro il pagamento di un riscatto. Pretendeva mille euro per una Yamaha T-Max ed una Kawasaki z750.

Ma i veri “grossisti”, quelli dai quali attingere i grossi quantitativi di droga, operavano a Ballarò. A comandare nel quartiere popolare di Palermo sarebbero stati il pregiudicato Salvatore Agusta, suo figlio Giuseppe e Paolo Genovese, la quale fiorente attività di spaccio era rivolta soprattutto a consumatori molto giovani, i frequentatori della movida palermitana.

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04 Dicembre 2014, 16:22

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