12 Gennaio 2014, 06:25
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PALERMO- Beati coloro che non fanno distinzioni nella capacità di donarsi, perché illuminano le zone buie dei periodi di decadenza. Beati quelli che sanno leggere negli occhi di un gatto, perché lì ci sono strade ignote alla presunzione dei bipedi. Beati coloro che si innamorano dei gesti di un cane, perché riceveranno misericordia.
La storia degli abitanti a quattro zampe di Palermo è fatta di eroismi, dolcezza e torture. C’è una comunità indifferente, nel suo corpo principale, ma non è una novità. Lo stesso trattamento si raddoppia per gli esseri umani. Ci sono cuccioli accasati, con un padrone che veglia. Ci sono fantasmi ai margini delle strade. E se qualcuno pensa che sia una bestemmia mettere accanto un cittadino e un randagio, si accomodi pure. La verità resta crudele nella sua chiarezza: una città che non rispetta gli animali, non aiuterà mai gli uomini.
E ci sono generosi che prestano la loro opera, al canile municipale, per esempio, in ogni posto dove ci sia bisogno di una mano. Giusy Caldo è una forza della natura quando si tratta di difendere i più piccoli. Volontaria, animalista, Giusy spende il suo tempo nel canile di via Tiro a Segno. Qui la incontriamo in un venerdì trafficatissimo. In una gabbia in fondo c’è Mosca, un cagnolino color miele. Stava con Fia, trovato morto per strada a piazza Tredici vittime. Erano compagni inseparabili di una vita libera e faticosa, di una fatica e di una luce a noi ignote. Mosca abbaia, scodinzola, non mostra traccia apparente del dolore di quella notte.
Eppure c’è da qualche parte una memoria del lutto, il segno della separazione, la ferita che non si cancella. Claudia, anche lei volontaria, racconta: “Mosca è dolcissimo. Fa le feste a tutti. E’ una persona speciale. La prego, scrive cose belle sul suo conto”. Ha detto proprio così, Claudia: “persona”? Così c’è segnato nel taccuino. Forse è una parola messa lì, non a caso, per infrangere un limite.
Il tabù risiede nel dogma irrevocabile di chi ritiene che gli animali appartengano a una scala gerarchica inferiore, in cui non esistono diritti, solo concessioni. Dunque è lecito disporne irresponsabilmente. Tutto cambia se accanto al muso di Mosca scrivi “persona”. Come Fia che l’ha abbandonato in una sera di freddo intenso, suo malgrado. Come direbbe Claudia, o chissà se l’ha detto lei. E’ il concetto che conta.
Giusy è alle prese con un caso difficile. C’è un botolo che ha necessità di cure, ma non si muove di un millimetro dalla posizione che ha scelto, dall’orma delle unghie affondate nel terreno. Ci vuole la giusta pazienza per condurlo nella stanza delle terapie. Il canile si regge, miracolosamente, sulla bravura dei veterinari, sul personale, sull’abnegazione dei volontari. Manca l’acqua. Le pulizie risultano complicatissime. L’ennesima emergenza ordinaria.
Gli inquilini sono cinquecento: una situazione di sovraffollamento coperta dal silenzio pubblico. Sovraffollate le celle di Palermo. Sovraffollato il canile. Sovraffollata la ‘Missione speranza e carità’ di Biagio Conte, come gli altri ricoveri per indigenti. Il filo non si spezza. La città che non si accorge della sofferenza degli animali non sarà clemente con gli uomini. Giusy Caldo assume il ruolo di cicerone, nonostante la mattina complicata. In una gabbia verde sono rinchiusi i cani “problematici”. Sono aggressivi. Hanno un passato di solitudine e sevizie subite che li ha resi intrattabili. Sull’altro lato del perimetro di via Tiro a Segno, ancora gabbie. A intervalli determinati gli ospiti della struttura vengono liberati per godere di una corsa senza costrizioni. In pista c’è un rottweiler dall’aria minacciosa. Claudia si avvicina. Apre il cancello. Entra. Il rottweiler manifesta una gioia frenetica. Lecca le mani della volontaria. La rincorre.
La scadenza degli addii qui non è brutta. Significa che un randagio si è accasato. Accade adesso. Un cagnone pieghettato viene caricato in macchina per il viaggio definitivo verso una casa vera. Molti sorrisi. Qualche lacrimuccia nascosta.
I volontari non si limitano a svolgere un ruolo fondamentale di supporto. Danno voce alla città degli animali, con messaggi continui su Facebook. Si leggono appelli da ultima spiaggia. E’ un rosario di occhi sgranati, feriti e curati. Di mani che li accarezzano. Il cane della foto lo chiamavano Uto. Era intrattabile fino al ricongiungimento familiare. I suoi bipedi l’hanno ritrovato. C’è scritto su fb: “Finalmente dopo tanto tempo mostra il suo cuore, la sua dolcezza.. Pianti, salti di gioia. Da allora il nostro Uto non ha mai più smesso di ridere. Lui si chiama Clous. Non ha mai perso la sua identità. Nel suo cuore la sua famiglia non l’ha mai dimenticata”. Tutta la speranza del mondo può concentrarsi in un nome. Beati coloro che sanno dare il nome giusto all’amore.
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12 Gennaio 2014, 06:25