03 Maggio 2020, 09:42
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Domani, parola impegnativa. Ma per pronunciarla abbiamo bisogno di ieri e di oggi.
Ieri. Le bare portate via dall’esercito a Bergamo. Esiste una forma peggiore di addio senza addio? Le avvisaglie di qualcosa che sembrava appena un poco più di drammatico e che poi si è rivelato tragico e insolito. La frontiera in Lombardia. Milano che riapre, petto in fuori contro il virus, e poi richiude precipitosamente. L’abolizione del contatto dallo statuto delle nostre vite. La progressiva cancellazione dei sorrisi sotto la mascherina, dove essi, comunque, abitano ancora. I saluti con la mamma, dalla strada al balcone. Le lacrime inghiottite in silenzio, per non farle scorgere e non appesantire un cuore con i capelli bianchi.
Gli atti necessari, le limitazioni che hanno preso e sbattuto al muro la nostra leggerezza. Gli errori che forse meritano qualche attenuante: nessuno di noi si era mai imbattuto in una cosa del genere. Il bollettino della protezione civile come un rintocco funebre. Il numero atroce delle vittime. E ancora il silenzio sopra gli addii.
Oggi. La voglia-necessità di ripartire. Il dibattito sul quando e sul come. La rabbia delle persone sui social, furore contro tutto e contro tutti, perché l’impotenza è una ferita profonda che si mette in conto al primo che passa. La politica che non è mai all’altezza, se non in rarissimi casi, del bene comune e alleva fazioni pronte a sbranarsi con l’insulto. L’incertezza, perché nessuno davvero sa cosa stiamo combattendo. Ma, insieme, le raccolte di cibo nei palazzi e nei quartieri. Una parte estesa di società che decide di non aspettare e di agire, mettendo in campo la bontà. E lo fa di slancio, con discrezione, senza nomi, senza vanterie. Accade come in guerra. Il meglio e il peggio escono fuori e si mischiano in un colore indefinibile. Una guerra che è stata combattuta in prima linea dal personale della nostra Sanità con sacrificio immenso. La foto a corredo dell’articolo, scattata all’ospedale ‘Cervello’ di Palermo, è soltanto un piccolo ‘grazie’.
Ed eccoci arrivati a domani, 4 maggio. Domani. La parola che pronunciavamo perfino con noncuranza, con l’illusione della certezza: ci vediamo domani, è un macigno da spingere lassù in cima. Tutto è stato già scritto sulle precauzioni e sui rischi. La prudenza, con il rispetto delle regole, dovrà essere ancora più decisa. Resta, forse, da aggiungere questo in calce: se ognuno di noi vedrà nel prossimo un altro se stesso, con la stessa cura e con la medesima responsabilità, sicuramente vinceremo.
Le lacrime, a poco a poco, saranno rarefatte come un ricordo, la distanza tra il balcone e la strada si assottiglierà. Ci sono cose che non torneranno più come erano, altre sì. Ma noi – prima o poi, quando sarà possibile – torneremo a riabbracciarci.
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03 Maggio 2020, 09:42