15 Settembre 2024, 06:00
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Carissimo Don Pino Puglisi, il tuo sorriso fiorisce come una primavera che si rinnova, nell’autunno del nostro cuore palermitano. Sei immagine, affetto, presenza, ricordo, sofferenza. Come l’ironia acutissima del Dottore Giovanni Falcone. Come l’ultima sigaretta del Dottore Paolo Borsellino.
Oggi sono trentun anni di stupore e strappo dal tuo martirio. Tu, un prete intriso nel candore incorruttibile degli innocenti. Tu, incapace di quiete che non fosse quella di ognuno, spezzata e divisa con amore. Tu, ucciso dalla mafia in nome di una fede che narra di speranza e di riscatti sempre possibili, perfino sotto il cielo più buio.
Sarai celebrato, come di consueto, oggi, dalla retorica politica. Sarai abbracciato dalla tua Chiesa di Palermo, guidata da un pastore sensibile e indomito. Sarai la luce che rischiara un anniversario. E poi, per troppi, ti inabisserai ancora una volta nel pozzo buio della nostra smemoratezza.
Forse accade per assuefazione, forse per indifferenza: la memoria delle vittime è diventata una bandiera da sventolare a uso e consumo dello ‘sventolatore’ di turno. Finché soffia il vento della commemorazione prescritta.
Carissimo Don Pino, chissà cosa pensi di questa nostra città, della Palermo che abbiamo costruito, dopo averti promesso che saremmo stati migliori. E che dimentica. Chissà se ci consideri bugiardi consapevoli, o soltanto pecorelle smarrite in buonafede. Siamo un popolo che non è riuscito a mantenere gli impegni solennemente assunti sulla tua lapide, come sulle altre.
Lo sguardo offre un panorama sconfortante di povertà, macerie e disimpegno. Ci sono donne e uomini di buona volontà. Ci sono persone che lottano, che non si arrendono. Ma restano pochissimi, il resto delega all’eroe eletto per l’occasione le battaglie da combattere.
Così, alla fine, nonostante qualche metro di fiducia spostato in avanti, Brancaccio è sempre Brancaccio, Sperone è sempre Sperone, lo Zen è lo sempre Zen.
Sono le Patrie di palermitani abbandonati che vorrebbero avere una vita migliore. E non gli viene consentito, perché il cosiddetto ascensore sociale che dovrebbe partire dal piano di Brancaccio per arrivare al piano di via Libertà, in occasioni, opportunità e servizi, non è mai esistito. Non ci sono nemmeno le scale. Ecco il peccato di omissione più grave.
Caro Don Pino, c’è Don Corrado, il nostro arcivescovo, che supplisce alle assenze, che non si stanca di indicare la strada, che, con il suo carisma semplice e profondo, abbraccia Palermo, come è accaduto nel corso di una indimenticabile passeggiata a Roccella. Il messaggio è noto: nessuno si salva da solo.
Però, non basta un solo cuore, né altri radunati intorno, per cambiare il destino. Ci vuole il cuore indomito di tutti. Tu lo hai sempre saputo, carissimo Don Pino, primavera di sorrisi e tenacia, nella pioggia del nostro autunno.
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15 Settembre 2024, 06:00