24 Aprile 2015, 21:28
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CATANIA – “Donne di Mafia” in scena al Piccolo Teatro. Un successo di pubblico premia la pièce tratta dalla “Trilogia della Malavita” del giornalista e drammaturgo calatino Angelo Mancuso e riadattata dal regista Gianni Scuto. Mogli e madri di boss e picciotti si impongono sul palcoscenico raccontando storie di violenza e sottomissione in un mondo che segue il verbo maschile dei padri e relega le donne a un ruolo di subalternità. Sono donne che mostrano i denti e costruiscono uno schermo di ferocia facendosi simili ai loro uomini, sono madri capaci di amor viscerali che imprigionano la loro prole e la inchiodano a una vita circoscritta nella gabbia dorata della famiglia. Un universo ovattato regolato da un solo comandamento: “Non fare domande”. Nei tre atti unici – “La consegna”, “Il rifiuto” e “Madre Sicana”- riecheggia il sapore di un mondo arcaico, ben reso dai richiami alla tragedia e al teatro classico.
Sono “figure tragiche senza tempo”, dilaniate da un conflitto interiore che le pone al centro della contesa tra il mondo della conservazione dei padri e quello di ribellione dei figli con esiti diversi, ma sempre funesti. Le musiche di Rosa Balistreri si alternano a note lontane dalla tradizione siciliana, come a dire che nessuno è al sicuro in nessun luogo. “La consegna”, il primo dei tre atti unici, ci presenta una donna di mafia, Agata, che vive con dolore e forte astio la decisione del figlio Turi di non vendicare la morte del padre (boss di spicco di una cosca locale) e di spezzare le catene dell’omertà. Ma la strada del cambiamento è tutta in salita, soprattutto perché la madre Agata lo considera “un fituso” e lo consegna al capo mafia del paese. “Il rifiuto” tratteggia la figura di Zia Carmela, dispensatrice di denaro alle vedove e alle mogli dei boss. Con il marito in carcere, infatti, è lei che tiene le redini della cosca.
“Che cuore grande che ha la zia” ripete il coro presente sulla scena. E ancora: “E’ una donna che sa fare giustizia”. Infatti, la zia Carmela è spietata con i nemici tanto quanto, è premurosa con l’anziana madre e con la figlia Graziella. La sua estrema capacità di controllare il mondo che la circonda viene meno quando questa si scontra con i sentimenti ingenui e puliti dell’amata figlia, ignara delle attività di famiglia. Graziella si innamora del figlio di un imprenditore, preso di mira dalle angherie del clan gestito da Carmela, e una volta appresa la verità farà una scelta di libertà e amore bruscamente interrotta da uno dei picciotti che si era invaghito di lei. Il mondo di Carmela crolla quando apprende che la piccola di casa si è tolta la vita in seguito alla morte dell’uomo amato. Così, la donna spietata si trasforma, nel giro di pochi amarissimi minuti, in una madre straziata dal dolore che culla tra le sue braccia una bambina immaginaria, alternando una ninna nanna a un grido lacerato.
Sono donne austere e spigolose come i cubi che caratterizzano la scena: che è scarna ed essenziale. Ma come il palcoscenico, capaci di riservare sorprese e momenti di pathos vertiginosi. Sono le femmine di mafia a rendere pieno lo spazio con il loro potere di vita e di morte. Sono delle vestali di un mondo antico, arcaico anche quando con i mariti uccisi o dietro le sbarre si trovano a governare gli affari pubblici e privati della famiglia. “Io ti ho partorito, ma è stato lui a darti la vita” dice Agata al figlio parlando del padre, figura, quest’ultima, spesso invocata e sempre ingombrante nelle vite delle donne di mafia. Il terzo atto “Madre Sicana” si apre con una scena allestita in modo diverso dalle precedenti perché rispecchia il mondo interiore, ricco e sognante, dell’ultima donna di mafia: Rosalia. Neanche lei sfugge a un destino crudele e ineluttabile.
Dopo la morte del marito e del figlio si chiude in una stanza colma di ricordi. Sfogliando le pagine di un album racconta la sua infanzia spensierata fatta di ciliegi, giochi da bambina e affetti. Tutto cambia quando si innamora di Gaspare, figlio di una famiglia malavitosa, che la allontanerà progressivamente dal nido della famiglia d’origine. Ma l’amaro destino cui andrà incontro è segnato: passerà il resto della sua vita con l’uomo che ha ucciso l’amato Gaspare. Il coraggio della denuncia lo troverà troppo tardi e rimarrà rinchiusa (per volontà di lui) nella stanza. Sola con i suoi ricordi. Tre storie, tre donne, un unico filo conduttore: la soggettività femminile che filtra e racconta un mondo chiuso, ancestrale, violento e immutabile. Un universo difficile da raccontare, eppure sapientemente rappresentato dallo scrittore Angelo Mancuso, dal regista Gianni Scuto e dagli attori Cettina Bonaffini (Agata), Marcella Marino (Zia Carmela), Nellina Laganà (Rosalia), Mario Sapienza, Raffaele Alemanno, Giuseppe Carbonaro, Antonella Scornavacca, Loriana Losto e Gianni Fontanarosa.
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24 Aprile 2015, 21:28