09 Giugno 2014, 06:00
4 min di lettura
CATANIA – Giuseppe Spampinato e Francesco Grasso sono scomparsi nel nulla il 21 febbraio del 2011. Nessun dubbio per i carabinieri e la Procura di Catania: da trovare ci sono solo due cadaveri. Ad uccidere sarebbe stato Rosario Grasso, imputato per omicidio nel processo che si sta celebrando davanti alla Corte d’Assise di Catania presieduta dal Giudice Rosario Cuteri. Un duplice delitto che sarebbe maturato all’interno della criminalità organizzata: l’ipotesi dell’accusa è, infatti, quello della doppia lupara bianca.
LE DUE VITTIME – Per gli investigatori i due corpi forse sono stati bruciati per non lasciare tracce. In fin dei conti nei regolamenti di conti di mafia è un rito – come dimostrano molte inchieste – usuale. L’omicidio di Angelo Santapaola ne è un esempio. E i due con la criminalità organizzata ne avevano molto a che fare, per i legami di parentela e per i posti di vertice che occupavano all’interno della famiglia Laudani di Aci Catena. Nell’ultima udienza è il maresciallo Carlo Capozzi del Nucleo Investigativo a fornire il profilo delle due vittime. “Grasso Francesco – afferma – è il nipote di Grasso Giuseppe. Lui è figlio di Grasso Sebastiano, defunto, esponente di rilievo del clan Laudani, fratello di Grasso Giuseppe, detenuto e attuale responsabile dell’area di Aci Catena del clan Laudani. Spampinato – dichiara- era considerato l’attuale responsabile del clan Laudani nella zona di Aci Catena”.
IL GIALLO DELLA PORTA. E’ il luminol a dare una scossa alle indagini sulla scomparsa di Grasso e Spampinato. L’occhio degli investigatori è rimasto per mesi puntato sull’agriturismo di Pennisi, ultimo luogo sicuro dove le due vittime sarebbero state insieme. E’ lo stesso Rosario Grasso, titolare dell’Akis, a confermare la presenza dei due la sera del 21 febbraio 2011 nel suo locale. Due minuti, giusto il tempo di dare l’ultima tranche di un prestito a quelli che lui definisce “i suoi due usurai”. Di fronte agli esiti del luminol Grasso, con le spalle al muro ritratta la sua versione e parla del duplice delitto che sarebbe avvenuto davanti ai suoi occhi. Due uomini col volto scoperto avrebbero ucciso Grasso e Spampinato, addirittura un colpo di pistola inceppato, e poi sarebbero fuggiti caricando i due corpi in un’Audi scura. E qui partono le contraddizioni secondo gli investigatori. Primo mistero, da dove sarebbero entrati i due spietati sicari che avrebbero minacciato il titolare dell’Akis.
La paura avrebbe portato Grasso a ripulire il sangue e a non confessare alcunché ai carabinieri. “Lui ci indicò – racconta il maresciallo Capozzi – che i tre presunti assassini erano entrati da una porta che lui indicava come l’ingresso dell’Akis, ma in effetti era un’uscita di sicurezza”. Il militare la descrive nei minimi particolari: “Questa seconda porta oltre ad avere una apertura solo dell’interno con maniglione antipanico, sopra era chiusa da una vite che si agganciava a due occhielli con un bullone. Quindi, era sempre chiusa, non era porta per ingresso principale. Anche perché poi noi abbiamo sentito tutti gli operai e dipendenti dell’Akis e tutti ci hanno fornito come riscontro che la porta principale dell’Akis era un’altra, non era completamente quella”. Un elemento, questo, contestato dal difensore dell’imputato, l’avvocato Giuseppe Di Mauro durante il controesame: “In base a quali elementi lei afferma che la porta indicata dal Grasso come porta di accesso dei tre soggetti è una uscita di sicurezza e non la porta principale quando tutti gli altri testi che sono stati sentiti qua, gli altri testi che lavoravano, hanno affermato cosa diversa?”. L’investigatore ribadisce che dalle testimonianze da lui raccolte emerge una cosa diversa. Ma quello che alza l’alone di mistero nella ricostruzione è quando l’imputato descrive agli investigatori, durante la registrazione con telecamere, il percorso degli assassini. Alla domanda di Capozzi – come racconta l’investigatore stesso – “Mi fa vedere da dove sono entrati questi killer?”, lui è arrivato vicino alla porta, ha tentato di aprirla e – conclude – ha risposto: “Questa porta è sempre chiusa”. Un giallo, che spetterà alla Corte valutare.
L’APPUNTAMENTO CON LA MORTE. Il giorno dopo la scomparsa all’Akis arrivano anche i familiari di una delle presunte vittime a chiedere lumi su quanto avvenuto la sera del 21 febbraio 2011. In udienza è chiamato a testimoniare un cugino di Francesco Grasso. Alla domanda sui motivi che lo spingono a recarsi a Pennisi, frazione di Acireale, dove sorge l’agriturismo dell’imputato, il teste risponde: “Perché avevo sentito dire che lui aveva un appuntamento là. Io sono andato da lui, da Saro Grasso, – racconta – e gli ho detto: “È venuto mio cugino?, e lui mi sta dicendo: “Sì, aveva un appuntamento con me”, e gli ho detto: “E che ha fatto? Era seccato?”, “No, due minuti precisi, è venuto, gli dovevo dare una cosa”, “Ma che era irritato?”, “No, no, stavano scherzando, ridevano, e se ne sono andati”. Invece da quell’agriturismo Grasso e Spampinato non se ne sono mai andati, se non cadaveri.
Pubblicato il
09 Giugno 2014, 06:00