16 Novembre 2009, 07:07
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Avveniva tutto in famiglia: i mariti e i figli spacciavano in strada, le donne, per lo più casalinghe, lavoravano con maggiore discrezione e, soprattutto, amministravano gli introiti gestendo la “cassa”. Accade a Palermo, in quartieri trasformati in fortini, dove l’arrivo degli “sbirri” è segnalato da vedette secondo i segnali convenuti. Ma stamane, all’alba, i carabinieri erano duecento, e dopo un’indagine durata due anni e denominata Family Market, hanno arrestato trenta persone per spaccio di droga, estorsione, ricettazione; per altre quattro è scattata la misura dell’obbligo di firma.
Il commercio di hashish, eroina, cocaina avveniva sotto gli occhi di tutti, compresi i bambini di un paio di scuole elementari, scelte come luogo di spaccio. Gli stessi pusher non disdegnavano l’uso della droga, che varcava persino i cancelli del carcere, dove una signora, eludendo i controlli, ha portato al marito detenuto una dose di cocaina nascosta in bocca. L’inchiesta parte il 16 novembre del 2007 con l’arresto di Nicola Sciacovelli. A casa sua, nel quartiere Ciaculli, i carabinieri trovano 50 grammi di cocaina. Le microspie piazzate nell’abitazione porteranno a scoprire un traffico che arriva fino alla provincia di Trapani. Sciacovelli, nonostante sia in carcere, avrebbe continuato a gestire gli affari attraverso la moglie Vincenza Marino e il fratello di quest’ultima, Salvatore.
L’organizzazione era estesa ad altri quartieri di Palermo: Bonagia, Falsomiele e Zen e nei comuni trapanesi di Erice e Marsala. Il metodo prevedeva che la droga richiesta dall’acquirente venisse calata dal balcone di casa dentro un paniere. Ogni settimana, fra cocaina, hashish ed eroina venivano venduti oltre otto chili di stupefacenti per un giro d’affari di 30 mila euro. I prezzi andavano da 40 euro per mezzo grammo di cocaina, ai venti per mezzo di eroina, fino ai cinque euro per una stecchetta di hashish.
In alcuni casi gli spacciatori si facevano pagare in natura, richiedendo una prestazione sessuale ad alcune tossicodipendenti che non avevano soldi per comprare le dosi. Il linguaggio in codice usato dagli spacciatori prevedeva che la droga fosse indicata, a seconda del tipo, birra, coca cola, pizza o pollo. Cinque i chili di cocaina sequestrati nel corso dell’operazione, un chilo l’eroina, oltre a denaro contante. (Ansa)
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16 Novembre 2009, 07:07