"Te lo leggi e ci fai la lezione" | Droga, un pizzino svelò gli affari - Live Sicilia

“Te lo leggi e ci fai la lezione” | Droga, un pizzino svelò gli affari

Salvatore Miceli e il figlio Mario Fortunato

Il narcotrafficante trapanese Salvatore Miceli intercettato durante il colloquio con il figlio.

PALERMO - L'INCHIESTA
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PALERMO – Febbraio 2013. Carcere di Civitavecchia. Salvatore Miceli, re del narcotraffico, l’uomo che godeva dell’appoggio di Matteo Messina Denaro, fa il più classico degli errori. A colloquio con il figlio Mario Fortunato fornisce preziose indicazioni agli investigatori sui traffici di droga. “…questo te lo leggi bello sistemato…mi hai capito?… te lo metti in bocca… capito?… così ci fai la lezione”, dice il detenuto passando un pizzino al figlio incaricato di fare da tramite con Michele Decina.

E dalle parole registrate in carcere che sarebbe emersa, almeno così sosteneva l’accusa, l’esistenza di un gruppo di narcotrafficanti che avrebbe agito sotto l’influenza della mafia di Mazara del Vallo. Ne avrebbero fatto parte Matteo Anzelmo (Mazara del Vallo), Giuseppe Palermo (Salemi), Salvatore Crimi e Giovanni Pipitone (entrambi originari di Vita). L’ipotesi dell’associazione, però, non ha retto al vaglio del gip. Avrebbero sì commesso dei singoli reati – dimostrando “pericolosità sociale” – ma visto il tempo trascorso bastano gli obblighi di dimora e di presentazione in caserma in giorni e orari prestabiliti per garantire le esigenze cautelari. Nel caso dei Miceli e di Decina, invece, non solo non ha retto l’ipotesi che facessero parte di una banda per importare droga dalla Colombia attraverso l’Albania, ma neppure c’è l’attualità delle esigenze cautelari. Ecco perché restano indagati a piede libero. La Procura ha fatto ricorso al Tribunale del Riesame.

Il via alle indagini è arrivato dal nome “Matteo” che faceva spesso capolino nei colloqui di Miceli. E così la vita di Matteo Anzelmo è finita sotto osservazione. Miceli rimproverava a Decina di avere commesso l’errore di mettere in contatto Anzelmo con un fornitore in Colombia: “… se tu avessi parlato con me, io non ti permettevo di darglieli… deve fare sotto controllo, perché ricordati una cosa… qualunque cosa che… cade sopra a me… conoscenze non ne dobbiamo dare in mano a nessuno… perché io non ci sono… ti mettono di lato…”.

Il gancio in Sud America sarebbe stato Roberto Pannunzi, altro pezzo grosso del narcotraffico internazionale, arrestato nel 2013 in un centro commerciale di Bogotà dopo tre anni di latitanza. Latitanza possibile, dicevano nelle conversazioni in carcere, perché “lui là paga. Paga sempre… là paga, per cancellare. E poi gli ricompare nuovamente. Ogni tre, quattro mesi”.

Si è scoperto che la stazione di posta della presunta banda era stata allestita in un internet point di Mazara del Vallo dove facevano spesso tappa Anzelmo, Crimi e Pipitone. I carabinieri hanno estrapolato il contenuto di alcune e mail inviate e spedite a soggetti che vivevano in Colombia: “Ciao caro amico il piccoletto e andato dove tu volevi e ci ha parlato il costo per aprire la pratica e di diecimila euro, per la pratica che avevamo parlato noi ci sto lavorando ancora. il piccoletto ci ritorna fra otto giorni. aspetto tua risposta un caro saluto”.

Le intercettazioni avrebbero svelato tre progetti per importare droga in Sicilia. I primi due sarebbero rimasti fermi alla fase progettuale, mentre il terzo è stato stoppato dai carabinieri. In particolare, la cocaina avrebbe dovuto essere trasportata nella stiva di una barca iscritta a una regata transoceanica e, con la complicità di un imprenditore siciliano, all’interno di un carico di biossido di titanio destinato ad un colorificio. Il terzo progetto prevedeva che la droga venisse caricata su una nave carboniera diretta ad Amsterdam solo che un carico di 320 chili di polvere bianca fu bloccato a Santa Marta. Secondo i carabinieri, venti chili spettavano alla banda siciliana.

Sono le conversazioni intercettate a testimoniare la dimestichezza degli indagati con gli affari della droga e le conoscenze con i narcos del cartello colombiano. Crimi, ad esempio, già condannato nel processo nato dall’operazione Igres, spiegava a Pipitone che “per 30.000 sono 4 milioni e mezzo… e ti danno questi soldi a te, hai capito? Se tu mandi 500 chili, loro ti danno questi soldi”. I colombiani avevano monopolizzato il mercato: “… non te ne danno perché ce l’hanno tutta loro… la Spagna, l’Austria… tutta i colombiani ce l’hanno, non vogliono sapere un cazzo loro… se la prendono tutta loro, perché loro non te ne danno neanche se ti sparano perché se la tengono tutta loro… loro ti danno a te il 30% della merce e poi si ci calcola il valore dei soldi”.

 


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