22 Gennaio 2013, 14:28
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CATANIA – Pubblichiamo l’intervento di mons. Gaetano Zito, vicario per la Cultura, sui nuovi documenti medievali recentemente scoperti ed acquisiti dall’Arcidiocesi di Catania (qui l’articolo sulla loro presentazione in Cattedrale): un lacerto di pergamena e un sigillo plumbeo.
LA PERGAMENA
“Nel 2009 sul mercato dell’antiquariato, in area bolognese, comparve una coperta pergamenacea di un volume edito nel sec. XVI. Non sono rari i casi di riuso di fogli pergamenacei, con il verso della coperta dei volumi che riconsegna lacerti di codici ben più antichi. Spesso, dopo l’invenzione e la diffusione della stampa si è proceduto al riuso di documenti pergamenacei per farne coperte di libri: il testo stampato sostituiva il testo manoscritto ed era più agevole per leggerlo. Un po’ come oggi al testo stampato va sostituendosi il testo digitale, l’e-book. In questo caso, la coperta pergamenacea venne posta alla nostra attenzione perché, ci fu detto, riconsegnava un testo inedito relativo a sant’Agata. A ben vedere, effettivamente, il testo riguardava la santa martire catanese ma il contenuto non poteva certo dirsi inedito: si trattava di un brano della nota Passio Sanctae Agathae. Con le dovute cautele e con le debite garanzie di legge, l’Arcidiocesi di Catania decise di acquisirla al proprio Archivio Storico Diocesano, al quale oggi appartiene. Il lacerto faceva parte di un codice in origine piuttosto voluminoso se in alto al centro riporta il numero CXXV di foliazione. Della sua consistenza complessiva non si hanno al presente altre informazioni: la prassi del riuso di antichi codici, per assolvere al ruolo di “custodi” del libro stampato, prevedeva il loro smembramento e la conseguente attribuzione dei singoli fogli a svolgere il compito di coperta a volumi spesso consegnati dal tipografo senza alcun involucro esterno.
Fu subito evidente che, nel nostro caso, la sua acquisizione avrebbe costituito un evento di rilevante importanza per la cultura, la città e la Chiesa di Catania. Il nostro frammento membranaceo, con un brano della Passio di sant’Agata, oggi è conservato nell’Archivio Storico Diocesano di Catania e segnato Ms. 1. La pergamena è di buona concia e il suo stato di conservazione può dirsi complessivamente ottimale. La necessità di reimpiego come coperta di un volume a stampa del sec. XVI ha determinato il taglio dei quattro spigoli, a forma di tagli a “v”, funzionali alla legatura del volume. Identiche esigenze di legatura, hanno provocato al centro della pergamena tre tagli simmetrici e pressoché uniformi per l’inserimento dei nervi dorsali del volume. Il testo è disposto su due colonne e soltanto su un lato della pergamena: il lato carne. Il lato pelo risulta abraso in modo radicale, al punto che, all’esame spettroscopico, né agli infrarossi né agli ultravioletti si possono registrare tracce significative di pregressa scrittura. Sul margine superiore del recto è presente la cartulazione del foglio, espressa in numeri romani, CXXV, e posta da mano databile tra XIII e XVI secolo, segno evidente dell’utilizzo del manoscritto nel tempo. Va da sé, dunque, che è preceduta da altre 124 carte e, considerato che il testo della narrazione della passione di sant’Agata in essa trascritto è tronco, ne seguivano altre. È di considerevole formato: formato atlantico Il nostro frammento, per la fisionomia che presenta, trova una corretta collocazione fra l’ampio stuolo dei libri liturgici e paraliturgici di stampo peninsulare dal taglio atlantico, prodotti tra XI e XII secolo. La collocazione più consona di tale scrittura è alla II metà del secolo XII Il manoscritto di provenienza è un Passionario o Leggendario, ovvero il libro che contiene il racconto del martirio o più in generale della vita dei santi, disposte secondo una precisa successione cronologica, talvolta con la suddivisione delle singole passio in lectiones corrispondenti alle relative letture agiografiche della liturgia delle ore. Questo dato va incrociato con la presenza di una cartulazione della maculatura, sebbene recenziore, che presenta il numero CXXV.
Non sono poche le questioni che solleva. Questioni alle quali non sempre è agevole assegnare risposte idonee e, tuttavia, racchiudono informazioni di non lieve importanza. In ogni caso, tale lacerto di codice sulla giovane martire catanese costituisce ora il documento scritto più antico presente in città. Sappiamo, comunque, che la pagina pergamenacea in questione venne destinata a fungere da coperta ad un volume. Quale l’opera e chi ne era l’autore? Dall’ingrandimento delle tracce di scrittura, disposte su due righe, rimaste tra i tagli centrali prodotti per esigenza di legatura dei fogli del volume: sulla prima riga si legge ALEXAND AB ALEXAND, sulla seconda riga si legge Genialium Dierum. Alessandro d’Alessandro (Napoli 1461 – Roma 1523) Considerato tra i principali romanisti del suo tempo, pubblicò Genialium dierum libri sex, stampato a Roma nel 1522. Fata una ricerca presso le biblioteche che possiedono copie della stessa opera per verificare se la coperta fosse riuso di identico codice, purtroppo le risposte sono state negative. Restano così del tutto aperte le questioni: di dove sia stato scritto, da dove sia stato copiato, per chi è stato scritto e chi lo ha posseduto prima di farne una coperta di libro. Ora è conservata nell’Archivio storico diocesano
SIGILLO
Più o meno nello stesso periodo dell’acquisizione del lacerto di codice, un’altra piacevole sorpresa è venuta da una più attenta considerazione del fondo pergamenaceo conservato nella Biblioteca Civica e Ursino Recupero, di cui nel 1927 è stato pubblicato il regesto. Le pergamene, in verità, sono porzione significativa dell’archivio che era stato padri benedettini della città, fino alla soppressione delle comunità religiose sancita con legge del regno d’Italia del 7 luglio 1866. Sia consentito, in questa occasione, unire la nostra voce a quanti in questi giorni invocano provvedimenti a sostegno della Biblioteca e dell’encomiabile opera a sua tutela e fruizione svolta dalla dott.ssa Rita Carbonaro.
Tra queste pergamene, due meritano particolare attenzione, oltre che per il contenuto del documento, per il sigillo plumbeo pendente di un vescovo che ha governato la diocesi di Catania a cavallo tra la fine del sec. XII e gli inizi del sec. XIII: la raffigurazione di sant’Agata è accompagnata dalla esplicitazione che si tratta del sigillo della Chiesa di Catania. Il contenuto delle pergamene: a) nel 1196 Ruggero Orbus de Oco, vescovo di Catania, dona alla chiesa di san Leone, e per essa al priore fra Pietro, la chiesa di san Giorgio presso Paternò insieme ad un tenimento di terre; b) nel 1205, Ruggero Orbus de Oco, vescovo di Catania, crea abate del monastero di santa Maria di Licodia il monaco Pietro, accordandogli l’uso della mitria, dell’anello e del bacolo. Concede inoltre allo stesso monastero la facoltà di amministrare i sacramenti del battesimo e della cresima. In entrambi i documenti il sigillo è identico. L’uso dei sigilli plumbei si diffuse in età medievale, venne adottata tanto da persone che da istituzioni ecclesiastiche e laiche, fino all’incirca al dal sec. XV quando si sostituirono con i sigilli stampati su carta, attaccata al documento grazie ad un sottile strato di cera versata sul foglio. Nella cancelleria pontificia, alla rota e bene valete, con il pontificato di papa
Pasquale II (1099-1118) si introdusse la forma di bolla pontificia in piombo pervenuta fino al presente: nel recto le teste dei santi Pietro e Paolo, con al centro la croce; nel verso, il nome del papa in latino e al nominativo, con il titolo abbreviato e il numero ordinale della successione pontifica. Le bolle erano collegate ai documenti in sospensione tramite strisce di pergamena o di nastri, oppure mediante filo di lino, di canapa, di lana o di seta; più spesso con cordicelle di fili intrecciati.. Entrambi i nostri sigilli sono di tipo agiografico si presentano così: sul verso: S. Giorgio e la dicitura Sanctum Georgium è il santo cavaliere dei normanni, il loro protettore sul recto: raffigurazione di sant’Agata con la dicitura Sigillum Catanensis Ecclesiae. Oltre ad avere il più antico sigillo della Chiesa di Catania finora noto, abbiamo qui la più antica raffigurazione di sant’Agata presente a Catania. La sua composizione: la raffigurazione di sant’Agata con ai lati la dicitura in caratteri greci: AGHIA AGATHE. La doppia epigrafia del sigillo, greca e latina, è tipica di quell’epoca normanna dalla doppia cultura greca e latina, come da altre raffigurazione in mosaici del tempo, esempio nella Cappella Palatina di Palermo Da dove proviene? Proprio dalla Cappella Palatina: i mosaici della Cappella Palatina sono datati al 1143-1154. La raffigurazione di sant’Agata della Cappella Palatina è la più antica in Sicilia che finora si conosca. Si tratta, pertanto, dell’iconografia ufficiale di sant’Agata per l’età normanna. Era ovvio che confluisse nel sigillo della Chiesa di Catania. Nell’iconografia bizantina generalmente le martiri sono così rappresentate: con la mano destra in posizione di orante e con la sinistra che sostengono una croce. E’ la posizione classica e forse anche la più teologica. Il martirio trova giustificazione se essenzialmente innestato nel sacrificio in croce di Cristo.
1. La raffigurazione, inoltre, sembra voler riconsegnare a chi guarda le affermazioni di Agata riportate nella narrazione della passione: «S. Agatha dicebat: Mens mea solidata est, et in Christo fundata». «Quia ancilla Christi sum». «Salus mea Christus est». «Ego Christum confiteor labiis, et corde invocare non cesso».
2. La posizione della mano con la palma aperta verso chi guarda induce a pensare pure al gesto benedicente della martire nei confronti dei devoti: coloro che accolgono nella loro vita l’esemplare testimonianza martiriale e guardano alla croce indicata dalla martire come a fonte di salvezza e di forza nella testimonianza da rendere nella propria vita, sostenuti dall’intercessione e dalla compagnia della martire.
3. La santità-divinizzazione della martire è inoltre rappresentata dal suo prezioso manto, orlato con gemme e ricami (in questo caso i colori non hanno eccessiva importanza); dal suo bel copricapo orientaleggiante (non bisogna esagerare con i simbolismi; nell’iconografia bizantina tutte le donne, a cominciare dalla Madre di Dio, hanno il capo coperto); dal suo capo nimbato; dalla sua immagine tutta incastonata su un fondo d’oro, colore tipico della divinità regale. Ora, poiché il sigillo riprende chiaramente la raffigurazione della Cappella Palatina, è da ritenersi che l’assunzione di tale raffigurazione per il sigillo della Chiesa di Catania può datarsi verso il 1154 o subito dopo. Non è facile stabilire il tempo in cui i vescovi di Catania non adottarono più questo sigillo ed introdussero quello personale. La diffusione dell’uso della carta, in sostituzione della pergamena, soprattutto dal sec. XIV, non permetteva l’apposizione del sigillo di piombo ai documenti, favorendo l’adozione dei sigilli di cera o dei sigilli cartacei. La progressiva introduzione nei documenti dello stemma personale del vescovo, per lo più mutuato da quello gentilizio della famiglia con l’apposizione della mitria vescovile, unitamente all’impossibilità ad apporre il sigillo di piombo sui documenti cartacei, determinarono la scomparsa del sigillo plumbeo. Di fatto, dalle testimonianze del fondo pergamenaceo della Biblioteca Civica (già fondo diplomatico dei benedettini di S. Nicola l’Arena) anche in un documento pergamenaceo del 1256 di Oddone vescovo di Catania già si trova pendente il sigillo di cera. Così, a seguire, in altri documenti pergamenacei di: Marziale (1358, 1359, 1372), sigillo di ceralacca pendente; Simone del Pozzo (1379, 1380, 1381, 1383) sigillo di ceralacca pendente; Guglielmo Bellomo (1452) sigillo di carta apposto alla pergamena. Come la pergamena acquisita sul mercato antiquario è ora il documento più antico su sant’Agata presente a Catania, allo stesso modo anche questo sigillo è il più antico signum della Chiesa di Catania di cui si è a conoscenza.
(per seguire la Festa di Sant’Agata su Twitter l’hashtag è #LiveSAgata)
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22 Gennaio 2013, 14:28