09 Gennaio 2017, 15:57
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PALERMO – Ci sarebbero due colpevoli, ma non il movente del delitto. La Procura della Repubblica ha chiuso le indagini sul duplice omicidio di Villagrazia, preludio della richiesta di rinvio a giudizio per Adele Velardo.
La donna avrebbe commesso l’omicidio di Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela assieme al marito Carlo Gregoli, morto suicida in cella. Mesi di indagini, interrogatori e intercettazioni: i due coniugi si sono sempre professati innocenti. Mai un segno di cedimento, mai una parola che potesse tradire nei colloqui con i parenti la loro colpevolezza. Colpevolezza che emergerebbe granitica, così sostengono i pubblici ministeri Claudio Camilleri e Sergio Demontis, dalle prove raccolte soprattutto nei confronti di Gregoli.
Contro l’insospettabile geometra del Comune all’inizio c’erano le immagini di una telecamera che ha immortalato il passaggio della macchina su cui viaggiavano Bontà e Vela e subito dopo quella di Gregoli e di Adele Velardo. Poi, è arrivata la testimonianza di un passante. Un uomo che transitava in via Falsomiele nell’istante in cui le due vittime venivano crivellate di colpi. Ha dichiarato di avere visto sparare un uomo vestito con gli abiti poi trovati a Gregoli. Quindi è stata la volta della perizia sulla calibro 9, modello Tanfoglio Stock 2, sequestrata in casa dei coniugi, appassionati di armi. Si tratta, dicono i periti, della pistola che ha lasciato le striature, un timbro, sulle cartucce usate per il delitto. Infine, la prova principale: su uno dei tanti bossoli recuperati dagli agenti della Squadra mobile è rimasta una traccia organica di sudore, forse lasciata durante la fase di caricamento. Il Dna estratto è quello di Gregoli che si è tolto la vita impiccandosi in un cella dell’infermeria del carcere Pagliarelli.
In occasione dell’ultimo colloquio i parenti avevano percepito le brutte intenzioni dell’uomo tanto da allertare gli avvocati che lo avevano comunicato al giudice. Gregoli era stato in cura perché affetto da depressione. Secondo i legali, il suicidio poteva essere evitato. L’uomo è rimasto chiuso nel silenzio. Lo stesso silenzio della moglie alla quale, dopo nove mesi di reclusione, sono stati concessi gli arresti domiciliari. Un perito ha riscontrato anche in lei un profondo stato di depressione.
Quale è stato il ruolo della donna, si è “limitata” al concorso “morale” nel delitto commesso dal marito (l’accusa in ogni caso è di omicidio). Cosa ha armato la mano degli assassini? Sul movente del delitto del marzo 2016 si indaga ancora, dopo che si è ipotizzato che avessero avuto degli screzi con le vittime per i consumi di acqua. Tramite gli avvocati Marco Clementi e Paolo Grillo i due indagati si sono sempre professati innocenti. “Pur ritenendoli estranei all’accusa – spiega Grillo – abbiamo massima fiducia nella correttezza del lavoro della Procura della Repubblica”.
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09 Gennaio 2017, 15:57