E Battiato fuggì | sopra un cinghiale bianco

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08 Novembre 2012, 17:02

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Il maestro Franco Battiato

PALERMO- “Il denaro striscia come un serpente, nelle città d’Occidente, così si celebra. Ma da qualche parte, un uomo nuovo sta nascendo”. Non si riesce a smettere di ascoltare l’ultimo album di Franco Battiato “Apriti sesamo”. La prima volta, un lampo, una musica leggera ed estranea che a poco a poco ti entra nel sangue, mentre guidi. E poi devi lasciartelo scivolare addosso. E poi ti fermi in mezzo al traffico, noncurante delle clacsonate semitonali del popolo automobilistico furente. Infine ti chiedi, Francuzzo, maestro, santone delle note – con rispetto parlando – che minchia c’entri tu con Nino Dina? Te lo chiedi con un sentimento di intermittente stupore – sia detto col massimo rispetto per Dina e il suo mondo – per le Dinopoli e consorterie equipollenti accampate ovunque.

Per esempio, uno immagina per gioco una riunione di giunta. Un momento di relax e di caffettino. Ninuzzo Dina – possibile assessore – va da Francuzzo. Gli appioppa una poderosa manata sulla spalla, con la sua palma da corazziere. Gli provoca, a lui, a Francuzzo, una pleurite traumatica. E dice: “Francuzzo come faceva chidda ru curuccuccù”. Oppure, il vate socchiude gli occhi, immerso in una meditazione. A Nino gli squilla il telefono con la suoneria del Pulcino Pio, piumata reliquia dei nostri tempi implumi. E Franco gli urla, intonatissimo: “Sei un animale”, lo strangola con una bandiera bianca, per fuggire in groppa a un cinghiale di passaggio, anch’esso bianco.

Si prende dal mazzo Nino Dina, che è un tipo spiritoso e non se ne avrà a male, per significare chiunque. Chiunque cioè venga dall’universo basso della politica siciliana. Mica Franco Battiato è solo puro spirito. Cammina, mangia, guarda la tv. Il maestro catanese è un grande marchio di fabbrica, un gioiello da esportare con orgoglio nel mondo. Lo vedete chi abbiamo? C’è Franco, che forse ha un cattivo carattere, ma che ha messo la felicità del suono e la profondità dell’intelletto al centro del suo discorso – manco a scriverlo, un centro di gravità permanente – e della sua missione di artista. Sarebbe bello raccontare una Sicilia così. Cavare fuori dalla bottiglia della terra di mafia, un odore che non somigli alla putrefazione di un corpo dimenticato. Un profumo di gelsomino tra gli scogli di Aci Castello, un sentore di mare pulito. La poesia di Battiato è per sua natura stessa politica. Mette ordine, nella zona rarefatta del cielo, tra gli affari terrestri degli uomini. E l’uomo è un animale politico.

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Tuttavia, c’è politica e politica. Esiste la politica come ideale, come estremismo, come pazzia. Esiste il politicume come inciucio, come accordo al ribasso. Un governante onesto tenta appunto di mediare fra mondi lontanissimi. Cosa sarà Battiato al governo? Uno costretto a ribattere alle interrogazioni parlamentari, pronunciate con un dialetto strascinato e perfido. Incastrato in riunioni fumose tra strapuntini e telefonate, con o senza suonerie del Pulcino Pio. Un variopinto pavone imprigionato proprio dai pulcini.

Ecco perché pensiamo con sgomento al potenziale assessore Franco Battiato, ascoltando Franco Battiato mentre canta: “Caliti juncu, ca passa la china. Caliti juncu, da sira a matina”. E lo sgomento cresce, ricordando altre canzoni che ci hanno preso per l’anima. Che ci hanno afferrato in una stagione invernale, per sollevarci dentro un raggio di sole.

 

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08 Novembre 2012, 17:02

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