E che palle (di riso)!

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28 Giugno 2015, 09:56

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I miei genitori sono nati a Palermo, ma mia madre è catanese d’adozione avendo trascorso sotto l’Etna gli anni cruciali dell’adolescenza. I suoi ricordi di ragazza furono i miei racconti più tristi di bambino: le bombe, la corsa a precipizio nel rifugio, la fame, quello spelacchiato pollo di guerra trovato chissà dove da mio nonno e troppo smilzo per saziare una famiglia con quattro figli. Sono cresciuto in braccio allo Zio Toti, catanese di Via Antonino di Sangiuliano, che piangeva come un bimbo quando morì mio padre. Durante la mia infanzia, le gite a Catania per andare a trovarlo erano feste attese per settimane con i due immancabili pellegrinaggi: quello sacro a San Giovanni La Punta, dove sfollarono per sfuggire alle bombe, e quello profano da Stella in Via Ventimiglia, dove fui introdotto a Sua Tonda Maestà, la schiacciata con la tuma e alle sue degnissime ancelle, le crispelle. Ed è per questo che non ho mai sopportato questa reciproca antipatia tra palermitani e catanesi.

Siamo entrambi siciliani, anche se diversi; come la triglia è diversa dal sarago pur essendo pesci entrambi. Noi i fenici, loro i greci. Noi il giallo del tufo, loro il nero della lava. Noi l’alterigia del primato, loro la sostanza degli affari. Noi Madrid, loro Barcellona; noi Roma, loro Milano. Noi “’a meusa”, loro la carne di cavallo. Noi l’acchianata, loro le candelore. Eppure, da qualche tempo pare che l’esercizio principale in cui cimentarsi sia soffiare sul fuoco di questa provincialissima rivalità. Il paradigma, manco a dirlo, è il calcio. “Ma senti questi che hanno quel presidente polentone che pensa solo ai soldi e quella maglia da effeminati inadatta a uno sport che è la metafora maschilista dell’atto sessuale dove il massimo del godimento si raggiunge quando l’attrezzo di gioco penetra nella zona più intima della controparte”. E da questo versante: “Parlate proprio voi di presidenti. Voi che ne avete uno che non avendo più aerei per volare ha deciso di dedicarsi ai viaggi ferroviari per salvare una misera serie B?”. Poi si passa ad argomenti religiosi. “Quando Agata era già Santa, Rosalia non era ancora nata”. E di rimando: “Ma se Agata forse era palermitana. E poi la patrona di Catania bastò per secoli per uno solo dei quattro mandamenti di Palermo prima d’esser soppiantata a furor di popolo dalla Santuzza”.

Ma l’apoteosi si raggiunge nella vexata quaestio sul sesso di quelle palle fritte di riso di forma tonda, oblunga o conica (non mi arrischio neppure a nominarle, altrimenti qui si scatena l’inferno) che a me pare ancor più leggera della proverbiale diatriba sul sesso degli angeli. Il tema, più trito della carne del ripieno, si ripropone periodicamente su una pagina del mio browser. E sotto le sembianze di Puglisi, storico cultore dell’innominabile prelibatezza, o di Massaro, che della stessa è un benemerito, vedo materializzarsi Amleto con il colletto candido e l’ambrata palla in mano il posto del teschio di Yorick a declamare con voce impostata: “Arancino o arancina, that is the question”.

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28 Giugno 2015, 09:56

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