Il mestiere che uccide

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30 Luglio 2011, 18:44

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(R.P.) Quando muore un giornalista il potere si mette la maschera del cordoglio, ma nel suo cuore nero sorride. Giuseppe D’Avanzo, scomparso per un colpo inaspettato, era una spina conficcata nella carne malvivente del Palazzo. Ora che questa spina è stata strappata dal lutto, dietro l’ipocrisia delle chiacchiere dei politici si avverte un fruscio, un soffice sospiro di sollievo.
Maledetto mestiere che uccide. Leggete cosa scrisse Gianni Brera della morte di un cronista sportivo. Maledetta la febbre che ti consuma. Lo scegli perché pensi che non usurerai te stesso, scrivendo dei maldipancia degli altri. Troppo tardi scopri che il confine si è dissolto, che tu sei gli altri e soffri per loro. Al massimo indossi gli occhiali scuri e un paio di baffi finti per dissimulare. Lo chiamano il cinismo del giornalista. Ma poi la vita passa a goccia a goccia. E il mestiere ti ammazza.

Maledette le suole delle scarpe che si sfondano, mentre la strada ti divora. Se sei un giornalista vero, la strada comanda pure quando ti incastri nella sicurezza fasulla di una scrivania. Ne avverti l’odore come un’ossessione. E il corpo delle lettere finisce per diventare il tuo corpo. La firma è il tuo corpo. Giuseppe D’Avanzo non era un uomo con i baffoni. Per noi che lo leggevamo si allungava dalla G iniziale alla O finale, racchiuso nell’eleganza del suo nome e cognome. Questo corpo, eco di idee, sentimenti e suoni, non morirà mai.

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30 Luglio 2011, 18:44

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