11 Aprile 2012, 13:53
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Era un boss rispettato e temuto Salvatore Montalto, morto nella sua Villabate a 76 anni lo scorso 4 aprile. Era gravemente malato e i familiari sono riusciti a ottenere il trasferimento dal carcere milanese dove stava scontando l’ergastolo per gli omicidi della guerra di mafia degli anni ’80 e le stragi dei primi anni ’90. Quando è stato arrestato, narrano alcuni capimafia intercettati nel box di Nino Rotolo, ci sarebbe stato un brindisi fra i mafiosi appartenenti alla fazione di Cosa nostra legata ai vecchi mafiosi palermitani, gli Inzerillo, i Bontade, gli Spatola.
Questo astio nasce da un frangente, decisivo, del cambio di guardia a capo della mafia palermitana, con l’ascesa dei “corleonesi” di Riina e Provenzano. Salvatore Montalto era considerato un uomo di Totuccio Inzerillo e, secondo le indagini e le testimonianze dei pentiti, sarebbe stato lui a dare la “battuta” per seccarlo. Così sarebbe avvenuto il suo passaggio da una cordata all’altra di Cosa nostra. E proprio nel deposito di carburante di Montalto, in via Roccazzo, il 29 maggio 1981, la mattanza è continuata con lo strangolamento di Santo Inzerillo, fratello di Totuccio, e dello zio, Calogero Di Maggio.
Il contributo che Montalto avrebbe dato alla scalata alla cupola degli uomini di Riina sarebbe stato ricompensato dal “capo dei capi”. Il desiderio di Salvatore Montalto era quello di diventare il capo della famiglia di Villabate. Allora, però, erano altri i vertici che si spartivano il territorio. E, per ricompensarlo della fedeltà dimostrata, Riina avrebbe orchestrato addirittura una strage, quella di Bagheria del 25 dicembre 1981. Così vengono eliminati Giovanni Di Peri (allora capo della famiglia di Villabate), il figlio Biagio, il braccio desto Antonino Pitarresi, e, indirettamente, il professore di medicina legale Paolo Giaccone.
L’agguato sarebbe dovuto scattare in un ristorante, ma Di Peri e Pitarresi avrebbero intuito qualcosa e per questo si sarebbero dileguati nelle vie di Bagheria. E lì è scoppiato l’inferno, con i proiettili vaganti che hanno colpito anche Onofrio Valvola, un vecchio pensionato che si trovava a passare. La lunga coda della strage di Bagheria ha poi portato anche alla morte di Paolo Giaccone. Nell’auto abbandonata a Bagheria dopo l’azione erano state trovate le impronte di Pino Marchese. Un referto che il medico non ha voluto cambiare e che ha pagato con la morte.
Ora è toccato a lui morire, dopo che il figlio, Francesco, è stato ucciso e l’altro, Giuseppe, è “sepolto” dall’ergastolo in carcere.
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11 Aprile 2012, 13:53