30 Luglio 2010, 20:22
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E’ morto Totò Cintola. Era in un letto d’ospedale da tanto. E’ morto nello stesso giorno in cui morì sua madre. Sua figlia, al capezzale, lo sperava: “Ho pregato che venisse la nonna a portarselo via”. Via, perché c’è un limite del dolore nostro che riguarda perfino i politici tanto vituperati in terra di Sicilia. C’è un ultimo spogliatoio in cui ci svestiamo di noi stessi. Totò Cintola ha affrontato la nudità totale secondo il registro comune delle esistenze. Solo, senza più nome, con gli occhi chiusi in un’assenza che ha anticipato il trapasso. Chi scrive ha scambiato – ed è stato un privilegio, un arricchimento – qualche frase con la figlia di Totò. Una ragazza forte. E’ stata accanto a suo padre con coraggio, sperando nella speranza. Un coraggio normale. Un coraggio speciale. Qui la parola di un cronista deve fermarsi per forza e non rivelare le altre parole, senza il consenso dell’interessata. Sarebbe un tradimento mettere in piazza il segreto di un cuore nobile che, per mille ragioni e per percorsi che solo le stelle conoscono, ha deciso di affidarsi a consolazioni e confidenze straniere, fino a un attimo prima. Cali il silenzio sulla vita di Totò Cintola. La croce che ha portato fin qui gli sia lieve.
Ma noi – noi giornalisti, noi belle persone, noi ardenti censori – forse dobbiamo spendere un minuto in più per per confrontarci, per capire. Tra di noi. Totò Cintola – ci risulta, salvo smentite che non temiamo – è morto abbandonato da troppi. E’ morto nel mutismo e nell’allontanamento dei suoi compagni di partito e di aula. E’ morto nella distanza di coloro che avevano beneficiato del suo potere. E’ morto nell’accanimento della stampa che ha continuato a scrivere di lui, nonostante le condizioni disperate.
Non era un uomo votato alla santità Totò Cintola. E lo diceva. Noi, invece, siamo un monumento gelido all’ipocrisia. Siamo noi i sudditi, nessuno escluso, in processione col cappello in mano dal reuccio di turno. Gli baciamo l’anello. Quando il vento della convenienza soffia altrove, dal cilindro delle nostre contraddizioni tiriamo fuori l’aggettivo “disonesto” (come se il clientelismo fosse pratica unilaterale). Avanti il prossimo, c’è un altro anello da baciare, c’è un antico signore da deridere.
Siamo noi cronisti d’assalto, coloro che non osano scalfire i potenti quando sono in sella. E’ più sicuro crocifiggerli, sapendoli innocui e immobili, magari moribondi. Vizio antico è, vizio siciliano e italiano. E’ una colpa che prescinde dalle colpe altrui, per quanto gravi siano. La stampa cosiddetta libera sceglie la ferocia contro il rantolo come unità di misura, quasi mai il decoro o la responsabilità o il rispetto delle lacrime di altri esseri umani.
No, Totò Cintola non era un santo. Ed è inutile raccontare qui le storie che sapete e che sappiamo. Non è astinenza di informazioni, è pietà e condivisione. Ci sarà tempo per ripescarle quelle storie e vedere davvero fino a che punto conducevano. Verrà il giorno del giudizio. Ora, cali il silenzio sugli occhi chiusi, sulla pace di un uomo solo.
Ci raccontavano: l’unico a farsi vedere negli ultimi giorni è stato Raffaele Lombardo. Grazie Presidente per questo gesto di commiato che rende un po’ meno amara la consuetudine siciliana della morte in disgrazia di un ex potente. Per noi ha più valore di centomila riforme.
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30 Luglio 2010, 20:22