23 Dicembre 2018, 20:00
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PALERMO – Moderati fan di Trump e moderati col lanciafiamme, moderati amici dei secessionisti e persino moderati rivoluzionari. La Sicilia considerata da sempre un “laboratorio politico” sembra assomigliare sempre di più a un laboratorio di paradossi.
Gli ultimi nascosti dietro quella parolina che dovrebbe tornare buona per mettere insieme tutto, per mescolare acqua e olio. Prendi l’ultima convention di due giorni fa a Palermo. L’Udc di Cesa guarda alle Europee, poggiando sui pilastri democristiani e sturziani per l’esattezza. A fare gli onori di casa, il deputato regionale Vincenzo Figuccia, da poco nominato coordinatore provinciale del partito. Figuccia si offre di rappresentare le istanze di “un centrodestra unito a sostegno dell’autorevole candidatura di Nello Musumeci. Nel solco della tradizione moderata”. Moderata? Si resta un po’ sorpresi, a dire il vero. Basti pensare a come Figuccia esultò dopo la vittoria del moderatissimo nuovo presidente degli Stati uniti Donald Trump. “Con l’affermazione di Trump – commentò ad esempio nel day after delle elezioni Usa – ritornano i valori naturali della vita in politica, ai quali con la mia famiglia abbiamo sempre creduto”. E si fa un po’ fatica a rintracciare in Trump un emule di Sturzo, a guardar bene.
Semmai, in Italia un altro politico è stato accostato al presidente statunitense. E anche in quel caso, a sorpresa, sembrò “convincere” il moderato Figuccia. E così, solo nel giugno scorso, in un crescendo di comunicati stampa, il deputato regionale poteva rallegrarsi del fatto che col ministro Salvini al governo non sarebbe sorto nessun hotspot a Palermo, e ancora, ecco Figuccia sposare appieno la linea salviniani dello scontro con Malta (“Le parole del Ministro dell’Interno Matteo Salvini mi trovano pienamente d’accordo” diceva il 12 giugno), e fare lo stesso sulla scelta della “chiusura dei porti” alle navi che avevano salvato i migranti, prima di difendere ancora una volta Salvini in contrapposizione col sindaco di Palermo Orlando.
Del resto, come spiegava in una sua perentoria nota del 20 giugno scorso: “Salvini è espressione di come in questo Paese sia cambiato tutto, anche la musica. Oggi infatti, quella minoranza rumorosa e divenuta maggioranza sovrana”. Passano appena sei mesi ed ecco che il riferimento alle “urla” si capovolge, così come la valutazione sui populismi. “Lo scudo crociato – ha detto Figuccia lanciando la convention Udc di venerdì scorso – con la saggezza, la temperanza e l’esperienza dell’intramontabile scuola sturziana, annichiliscono l’arroganza del populismo che sbraita e resta inconcludente”. L’arroganza del populismo che sbraita? E gli applausi a Trump e le “carezze” a Salvini?
Basterebbe forse rispondere che in politica si cambia spesso idea. A volte anche velocemente. E in effetti, giusto per rimanere in tema, ecco l’apparizione del presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè venerdì al convegno scudocrociato, lì tra i protagonisti insieme a Figuccia. Si tratta, per intenderci, dello stesso Micciché al quale Figuccia rivolse, tra i tanti altri, “complimenti”, qualcosa del tipo: “Miccichè si dimetta: non può fare il presidente dell’Ars e il coordinatore di Forza Italia” (11 gennaio), “Micciché stia a casa ed eviti figuracce in tv” (sempre l’11 gennaio), “Micciché isolato anche dai vescovi siciliani. È un privilegiato” (18 gennaio), “Miccichè è un poveraccio dal pensiero arido” (29 gennaio), “Miccichè si dimetta, è la vera rovina del centrodestra siciliano” (5 marzo), “Berlusconi ci tolga Micciché dagli imbarazzi” (27 agosto), “Micciché come Schettino: abbandona la Sas e il presidente Caruso” (5 dicembre scorso). Fino all’ultimo, di un paio di giorni fa. “Noi moderati dell’Udc guardiamo con interesse ai ragionamenti di Miccichè che nelle ultime ore ha dichiarato di voler aprire un fronte comune contro il populismo, mettendo dentro il Pd”.
E le dimissioni, la vergogna, la rovina? E i populisti, Trump e Salvini? Tutto dimenticato in un attimo. Basta la parolina “moderati”. Che del resto, è usata ormai da tutto ciò che si autodefinisce anti-governativo. E così, si presenta come moderato proprio Gianfranco Micciché, leader in Sicilia del partito figlio di un populismo vintage, quello del Cavaliere del milione di posti di lavoro e delle tasse che scompaiono. Lo stesso Micciché che faceva parte dei governi che si reggevano anche sull’asse con Bossi, le sue idee di secessione e i suoi moderatissimi giudizi sul Meridione. Lo stesso moderato Micciché che non molto tempo fa diede moderatamente dello “stronzo” al Ministro degli interni Salvini. E che adesso guarda agli altri moderati, quelli del centrosinistra.
Che ci sono sempre stati, per carità, ma nel caso del Pd siciliano sono in molti casi “reduci” più o meno freschi di esperienze filo-cuffariano o filo-lombardiane. Moderati davvero, mica come quelli che si definiscono renziani e strizzano l’occhio a destra per incontrarsi in mezzo… Eppure, al di là delle origini, i veri renziani moderati lo sono fino a un certo punto. Qui al Sud, poi, dove il leader del partito, poi travolto dagli errori e da una perdita di consenso vertiginosa, addirittura minacciò di presentarsi moderatamente armato di “lanciafiamme” per rinnovare la classe politica siciliana. Quella da “rottamare” per usare un’altra tenue immagine.
Si incontreranno un giorno, questi moderati per caso. In Sicilia, la terra in cui si mescola acqua e olio. Qui dove potrebbero unirsi in un abbraccio persone che, una volta messo il naso fuori dalla Sicilia e magari dalla cupa Italia di questi giorni, dovranno pur rispecchiarsi in una forza politica del parlamento europeo. Dove andranno i moderati di Sicilia? Tra i popolari o tra i socialisti? Ma questa è questione di lana caprina. Soprattutto qui, nella Sicilia laboratorio di paradossi. Dove un giorno sbarcò persino tale Gianpiero Samorì. Alla guida del partito che portava l’acronimo “Mir”. Per cosa stavano quelle lettere? “Moderati in rivoluzione”. Moderati sì, ma con moderazione.
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23 Dicembre 2018, 20:00