E sulle spese di Acierno Miccichè dice: | “Il controllo non era di mia competenza”

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30 Gennaio 2012, 16:49

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Controllare come venissero spesi i soldi della fondazione Federico II non era di sua competenza. Gianfranco Miccichè si toglie di mano la patata bollente. Lo fa nel corso di una veloce deposizione al processo che vede imputato l’ex deputato regionale Alberto Acierno (nella foto), direttore della Fondazione e nominato da Miccichè quando era presidente dell’Assemblea regionale siciliana. Secondo l’accusa, Acierno si sarebbe appropriato di oltre 115 mila euro a cui vanno sommati gli 80 mila euro assegnati al Gruppo Misto, di cui l’imputato era presidente. Da qui le accuse di peculato.

Il controllo sull’attività amministrativa non rientrava tra le mie competenze”, ha spiegato Miccichè. “Perché non chiese mai ad Acierno un rendiconto dei fondi assegnati al Gruppo?”, gli ha chiesto il pubblico ministero Sergio Demontis. Risposta: “Durante la mia presidenza non c’era stato nessun esborso di denaro a titolo di anticipazione, come era avvenuto, invece, con Lo Porto (Guido Lo Porto, predecessore di Micciché alla guida dell’Ars, ndr). Perché avrei dovuto chiedere un rendiconto di spese che non avevo autorizzato io o di un contenzioso che non mi riguardava?”. All’ex presidente è stato chiesto anche di motivare il compenso assegnato ad Acierno in qualità di direttore della fondazione. Quindici mila e 500 euro al mese che il leader di Grande Sud ha così motivato: “Era un modo per fargli mantenere lo stesso compenso che percepiva da deputato e comunque, visto che in quel periodo si celebrava il 60esimo anniversario dell’Ars doveva svolgere un lavoro gravoso”.

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Nel corso delle celebrazioni vennero a galla alcune irregolarità contabili. Il direttore amministrativo, Antonella Razete, presentò a Micciché fatture con cui il direttore della fondazione chiedeva un compenso per avere ricevuto alcune opere d’arte, proveniente da vari musei siciliani, da esporre in Sicilia. “Erano somme di cui non avevamo mai parlato – ha spiegato Micciché -. Per questo dissi di non prenderle nemmeno in considerazione”. Una circostanza che avrebbe fatto venire meno il rapporto di fiducia tra i due che sfociò nelle dimissione di Acierno. Dopo Miccichè sul banco dei testimoni è salita Elisa Musso, dipendente della Fondazione. Una deposizione, la sua, piena di non ricordo e di contraddizioni rispetto alla dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari. Alla fine il pm Demontis ha chiesto al presidente del collegio Vittorio Alcamo la trasmissione degli atti alla Procura perché proceda per falsa testimonianza a carico della Musso.

La donna era approdata alla Fondazione, assunta per chiamata diretta, dopo avere lavorato a fianco del deputato Giuseppe Acanto e dopo una breve parentesi al call center della stessa Federico II. Ai finanzieri aveva raccontato delle tensioni nell’ambiente di lavoro, del mobbing esercitato da Acierno su diversi dipendenti e dell’invito che l’imputato le avrebbe rivolto ad assumere insieme cocaina in ufficio. In udienza ha fatto dietrofront. Ha tuttavia ammesso di aver aperto per sbaglio la porta dell’ex deputato regionale e di aver visto sulla su scrivania una striscia di polvere bianca e di avere vissuto momenti di tensione quando un collega l’aveva avvertita che Acierno, infastidito dalla sua freddezza, pensava di riferire “cose false su di lei al marito”. Il processo è stato rinviato all’8 febbraio.

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30 Gennaio 2012, 16:49

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