Genovese al fianco di Musumeci | L’impossibilità di essere normali

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23 Settembre 2017, 12:58

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PALERMO – La responsabilità penale è personale. Ma la politica è una cosa, per sua natura, pubblica. E non necessaria: è così difficile, oggi, essere normali? Tirarsi fuori per un po’ dalla lotta politica, dai riflettori, dall’idea di gestire sempre e comunque un potere?

Negli stessi minuti, ieri, le cronache facevano rimbalzare due distinte dichiarazioni. Da Catania il candidato alla presidenza della Regione Nello Musumeci puntava il dito, come a volerla allontanare dalla propria corsa verso Palazzo d’Orleans, la Sicilia “del malaffare, della contiguità opaca, dei trasformisti, dei parassiti, dell’assistenzialismo e dell’antimafia di facciata”.

A Messina, invece, saliva su un palco Luigi Genovese, studente ventiduenne dal cognome pesante. Il padre Francantonio è stato un protagonista della politica siciliana, ma anche, negli ultimi anni, delle cronache giudiziarie. “Per me – ha detto legittimamente dal palco il giovane Luigi – il cognome che porto è uno stimolo, di mio padre sarò sempre orgoglioso. Mio padre mi ha dato consigli, su mia richiesta; ed è bello avere un genitore che fa questo. E’ la prosecuzione di un percorso”.

Tutto comprensibile, ci mancherebbe. Ma non può essere messo da parte un fatto. Genovese (Francantonio) è stato condannato in primo grado a 11 anni dal tribunale di Messina al processo scaturito dall’operazione ‘Corsi d’oro’ sull’uso illecito di finanziamenti della Regione a enti della formazione professionale. Condanna a due anni e mezzo anche per il cognato di Genovese, Franco Rinaldi, deputato uscente dell’Ars. Tra gli altri condannati anche le sorelle Schirò: Chiara, moglie di Genovese, ha avuto 3 anni e 3 mesi; Elena, moglie di Rinaldi, 6 anni e 3 mesi. La responsabilità è personale, ci mancherebbe. Ma è così difficile, a un certo punto, farsi da parte, dedicarsi ad altro, tirarsi fuori dalla mischia?

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Sono da accantonare subito, ovviamente, perché di una banalità accecante, le possibili obiezioni: “Non ha il diritto, il figlio di un deputato oggetto di un procedimento giudiziario di candidarsi alle elezioni?”, “possono ricadere sul figlio le colpe del padre?”, “può essere messo in discussione il voto espresso dai siciliani?”. Ecco, le domande retoriche possono essere per un attimo messe da parte. Le risposte sono ovvie, se la questione è posta in questi termini.

Il problema però non è Genovese, né Luigi né Francantonio, né la mamma e la zia, né lo zio “mister 20 mila preferenze”. La spinosa pianta del dilemma (etico, se vogliamo), semmai, dovrebbe “spuntare” sul cammino del candidato alla presidenza Nello Musumeci. Un problema generato dalle sue stesse parole: quelle con le quali ha voluto allontanare l’ombra del trasformismo e del malaffare. Così, all’ex presidente della Commissione antimafia non possono non essere girate alcune domande. Come, ad esempio: rientra nelle categorie del ‘trasformismo’ il passaggio di quello che è stato addirittura il segretario regionale del Partito democratico in Sicilia – e insieme a lui della famiglia e di molti amministratori locali – tra le file del centrodestra? E – al netto del percorso giudiziario che solo in Cassazione ci consegnerà il nome di colpevoli e innocenti – questa candidatura non rischia di dare vita a quelle ombre del passato che a parole si vogliono allontanare?

Domande e dubbi. Alle quali si può rispondere, forse, solo aggirando una ipocrisia di base. Luigi Genovese non è un candidato come un altro. Quale “giovane aspirante onorevole alle prime armi” si sarebbe trovato a parlare di fronte a una platea così numerosa, in una convention come quella messinese? Chi, oggi, tra i giovani siciliani si sentirebbe pronto, con le proprie sole forze a cimentarsi in una competizione così dura come le Regionali? Luigi Genovese del resto – al di là delle qualità personali, non sono queste in discussione – è chiaramente, come lui stesso esplicitamente afferma, “la prosecuzione di un percorso”. “Luigi – ha rilanciato il commissario di Forza Italia Gianfranco Miccichè – ha una esperienza che gli viene dalla sua famiglia”. Una famiglia in cui sembra impossibile “non fare politica”, o anche tenersi fuori per un po’, in attesa di chiarire tutto. Ma è questo – ecco il punto – il modello scelto dal candidato Musumeci?

Il dubbio è legittimo. Anche di fronte ad altre ipotesi (numerose, a quanto pare) di candidatura nelle sue liste di “figli di” o di “delegati” pronti a raccogliere e portare in dote voti e consensi di chi per legge, per “opportunità” o per una scelta di facciata, non è candidabile. Di chi allo stesso tempo però non è in grado o non ha alcuna voglia di “essere normale”. Come se il tanto sbandierato “ringiovanimento” debba necessariamente essere letto come un ricorso tutto interno alle “dinastie politiche”. Ai soliti bacini e ai soliti portatori di interessi, rilanciati con i giovani volti e gli stessi (molto spesso) cognomi. A questi casi, vanno aggiunti quelli dei voltagabbana last minute, tantissimi, che lo stesso Musumeci, nonostante le sue battaglie contro questo vizio della politica, ha finito – col tramite dei partiti – per accogliere nella sua ‘squadra’. I trasformisti, appunto. Così, al di là di Genovese o dei nomi che verranno, casi come questo finiscono per rafforzare il timore che, di fronte a una competizione elettorale in Sicilia, sia difficile, se non impossibile restare all’interno dei confini di una totale, monolitica decenza. E che sia troppo difficile, per chi in questa Sicilia ha gestito potere, anche inciampando sul potere stesso, essere normale. Ma quantomeno, aggirata ogni ipocrisia, alle parole seguano i fatti. O ai fatti, da questo momento in poi, si adeguino le parole. Altrimenti, servirà una massiccia dose di ottimismo per credere che davvero possa diventare bellissima.

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23 Settembre 2017, 12:58

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