Bianco: 'Soffro per Catania e Palermo, io sindaco? Chissà...'

Bianco: ‘Soffro per Catania e Palermo, io sindaco? Chissà…’

Chiacchierata con Enzo Bianco. La politica, Orlando, la sua città. E un pensiero...

“Ho fatto tante cose nella mia vita. Ma per tutti sono il ‘SinnacoBianco’ tutto attaccato. E questo resta”.
Il SinnacoBianco a Catania e il SinnacOllanno a Palemo, due mitologie politiche contemporanee, ma inconciliabili per geografia emotiva e profili personali. Sant’Agata e Santa Rosalia. L’arancina e l’arancino. Massimino e Barbera. La sabbia fine e la pietra lavica. Un capopopolo dotato di potenti mezzi di seduzione (Orlando) e un sindaco (Bianco) dal piglio più manageriale, più tecnico. Il primo poteva nascere solo a Palermo, il secondo ovunque. Oggi, Enzo Bianco è presidente del consiglio nazionale Anci, l’associazione che riunisce i comuni italiani. Parlare con lui e cogliere l’occasione di fare il punto su diverse cose siciliane significa tornare a respirare atmosfere mai banali di analisi politica.

Dov’è adesso Presidente?
“Sono a Roma. Siamo stati da Papa Francesco (nella foto, ndr) e gli ho donato la riproduzione del busto di Sant’Agata creata da una devota catanese, Marina La Falce, e uno scatto del nostro grande fotografo e artista, Fabrizio Villa”.

Come ha trovato il pontefice?
“Sofferente per via dell’anca, ma, come sempre, straordinario: cortese e umano. Eravamo in cento con l’Anci, ha voluto salutare tutti, uno per uno”.

Contento dell’elezione per il secondo mandato del Presidente Mattarella?
“Certamente. Quando tutti dicevano che sarebbe stato un risultato impossibile io la pensavo diversamente e l’ho dichiarato. Parliamo di una personalità fuori dal comune. Siamo stati, con due governi, ministri insieme: lui alla Difesa io all’Interno. Conosco il suo senso di responsabilità, sono felice per il Paese”.

Fine delle note liete, a proposito di comune. Come vede Palermo e Catania?
“Sono due città diverse, due Sicilie culturalmente diverse. Palermo è mediterranea, Catania europea. Leoluca Orlando è un leader mediterraneo che ho sempre sentito vicino. Soffro molto nel sapere dei problemi di Palermo, di una condizione finanziaria di crisi che non è lontana da quella catanese. D’altra parte era scritto nei fatti”.

In che senso?
“Abbiamo sofferto molto il federalismo fiscale e soffriamo il nostro statuto speciale che rischia di essere una zavorra. Io avrei voluto, da sindaco, una regione ordinaria, anzi ordinarissima. Vuole un esempio? Parliamo di città metropolitane. Firenze, Bologna e Bari hanno da tempo il loro statuto e un consiglio metropolitano. Catania, Palermo e Messina no, per via della Regione, perché tutto passa da lì. E magari il sindaco Orlando, i sindaci in genere, possono non essere amati in certi palazzi”.

Siete amici?
“Sì, anche se siamo molto diversi. Per questo sto male umanamente nel vedere Luca e il suo momento complicato. E’ stato comunque un protagonista e meriterebbe una uscita di scena differente. Spero che Palermo gli tributi il rispetto che si è guadagnato”.

Diversi perché?
“Come dicevo: lui mediterraneo, io più manager. Non avrei mai detto che la mia città è un suk come un dato di fatto da accettare. Avrei detto, piuttosto: devo impegnarmi perché non sia così”.

Esiste una sorta di ‘maledizione del primo cittadino’ che rende la professione di sindaco ardua, se non impossibile?
“Essere sindaci della propria città è una esperienza irripetibile. Scegli concretamente e l’indomani capisci com’è andata. Lo capisci dallo sguardo del barista che ti prepara il caffè, dall’atteggiamento di vicino d’ascensore. La città ti osserva e tu sai se hai sbagliato o se hai indovinato. Nient’altro è intenso allo stesso modo”.

Ma è anche un mestiere a rischio, o no?
“Sì, lo riscontriamo nelle voci dei sindaci che sono drammaticamente unanimi e senza difformità di colore politico. Prenda il caso di Antonio Bassolino: anni di processi in prima pagina e per l’ultimo proscioglimento, dopo una serie infinita, quattro righe. Se un primo cittadino è indagato viene considerato colpevole, dall’opinione pubblica, con sentenza passata in giudicato. Ma lo sa che gli atti di intimidazione nei confronti dei sindaci sono in aumento del venti per cento? Sono stati 541 nei primi nove mesi del 2021, un’enormità!”.

Cosa chiedete?
“Una modifica del contesto normativo e una maggiore attenzione, a cominciare dall’abuso d’ufficio. L’amministratore che si mette soldi in tasca sia punito con la più inflessibile severità. Però, non si può sanzionare il responsabile dell’indirizzo politico perché uno sconosciuto funzionario ha apposto una firma di cui non sa nulla. Non si può mandare in malora, con tanta leggerezza, la reputazione delle persone”.

La Corte dei Conti, a proposito del dissesto del Comune di Catania, ha cancellato l’interdizione a suo carico, dimezzando la pena pecuniaria. Cosa pensa in proposito?
“Che voglio andare avanti con piena soddisfazione. Io, per essere chiari, non ho provocato il dissesto, io ho cercato di evitare il dissesto. La città era già in predissesto. Le colpe sono di chi mi ha preceduto. Non potevo prendere la mia città e condurla al fallimento. Mi sono battuto come un leone e la Corte dei Conti, in alcuni passaggi, lo ha riconosciuto. Il mio comportamento è stato corretto. E lo dimostreremo”.

Torniamo a Catania che non vive un passaggio semplice. Anzi…
“Non parlo volentieri della giunta Pogliese perché avverto il rispetto per un frangente ostico dal punto di vista umano. Però devo dirlo, a prescindere della vicenda della sospensione. E lo dico con una sintesi sincera che può apparire brutale”.

Ovvero?
Catania è in mano a nuddu. Nessuno la sta amministrando. Il naturale individualismo del catanese, che è una dote, se non viene indirizzato, diventa un guaio. Catania è un giardino incolto senza una mano affettuosa e sicura che la curi. Per questo è ingovernabile. Poi, certo, c’è la sospensione di Pogliese che aggiunge caos a caos, in un momento cruciale con gli investimenti del Pnrr da indirizzare. Ma la politica è ferma”.

In che senso?
“Sulla incredibile e crudele vicenda degli esuberi Pfizer a Catania sono stato uno dei pochi ad alzare la voce per protestare. Lo stesso per la localizzazione di INTEL. Questo silenzio dimostra più di tante parole. Dimostra che chi fa politica, o dovrebbe farla, è assente”.

Ma niente niente che sta pensando alla candidatura a sindaco, a Palazzo degli Elefanti?
“Io ho realizzato tanto nella mia vita, sono stato, per ricordare un aspetto, Ministro dell’Interno. Ma per tutti sono il SinnacoBianco. La mia vita è legata a Catania. Sono quello che, con la fascia tricolore, ha partecipato a più feste di Sant’Agata. In tanti me lo chiedono. Basta guardare i social anche”.

E lei che risponde?
“Che non è il momento di decidere, che ho già dato!”.

Suvvia.
“Va bene, vedremo….”.


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