Era un debito di sedicimila euro | Ora è arrivato a cinque milioni

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24 Ottobre 2013, 11:25

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PALERMO – Tutto cominciò con un debito di 32 milioni di lire, circa 16 mila euro. Tra mancati pagamenti, ritardi, interessi, spese legali quel debito con le banche è arrivato dopo 30 anni a quasi cinque milioni di euro: per la precisione 4 milioni 923 mila 577 euro. Travolta da una inarrestabile valanga di debiti, l’impresa di costruzioni di Giuseppe Catalano è stata portata al fallimento, il patrimonio messo all’asta, i familiari del costruttore ridotti sul lastrico come fideiussori. “Non abbiamo più neanche gli occhi per piangere”, dice la sorella Marcella. Il padre, pure tra i fideiussori, intanto è morto ma la vedova Luisa Catania non si è rassegnata e ha presentato due denunce nelle quali descrive l’odissea con le banche e le tappe della inesorabile rovina della famiglia.

Ora si chiede: “Se questa non è usura come potremmo chiamarla?”. All’origine di tutto c’è un appalto per la costruzione di 180 alloggi di edilizia sociale, affidato all’impresa Catalano dalla cooperativa “Trinacria”. Siccome le modalità di pagamento erano modulate sullo stato di avanzamento dei lavori, l’impresa Catalano chiese al Banco di Sicilia l’apertura di un “castelletto di sconto” per trasformare in denaro liquido le cambiali e gli altri titoli di credito ricevuti dagli acquirenti degli appartamenti. Nel 1985 – due anni dopo l’inizio della vicenda – la banca presentò un conto di quasi 40 milioni di lire. Il debito iniziale di 32 milioni non saldato scatenò una lunga trafila passata attraverso il fallimento nel 1990 e alla vendita all’asta del patrimonio che, secondo la signora Catania, era stato “preteso a garanzia di un debito di gran lunga inferiore al suo valore”.

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Al debito iniziale si è poi aggiunto quello con altre banche: l’ex Sicilcassa e la Cassa San Giacomo. Nel 2000 era salito già a 350 milioni di lire con il Banco di Sicilia e a 753 milioni di lire circa con la Sicilcassa. Da quel momento l’infernale meccanismo di lievitazione dell’esposizione è andato avanti con rivalutazioni, ipoteche, sequestri e vendita degli ultimi beni rimasti. Quando Luisa Catania, assistita dall’avvocato Sergio Mango, ha perso anche la casa in cui abitava si è rivolta alla magistratura. Ma l’inchiesta sta per essere chiusa. Il pm Marco Verzera ha chiesto l’archiviazione del procedimento. A suo giudizio, non solo non sarebbero state riscontrate “condotte delittuose imputabili ad alcuno” e poi, dopo tanti anni, il reato di usura sarebbe ormai prescritto.

(Fonte ANSA)

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24 Ottobre 2013, 11:25

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