13 Giugno 2021, 11:39
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Christian Eriksen è fuori pericolo. Ma, ieri, il suo sguardo da sopravvissuto ci ha inchiodato alla poltrona. Anche il nostro cuore si è fermato, non nella fisiologia ma nei sentimenti, mentre guardavamo la caduta, i tentativi di rianimazione, i giocatori assiepati, con le facce pallidissime, e le lacrime dei tifosi sugli spalti. Abbiamo visto tutto. E nulla, mai, dimenticheremo. Come quando – era l’Ottantanove, chi era ragazzo ricorda – un colpo di fulmine stese il romanista Lionello Manfredona, sul campo del Bologna. Non c’era la tv, c’erano la radioline. Il grande massaggiatore Giorgio Rossi e il grande medico Ernesto Alicicco intervennero e salvarono il calciatore. Questa come quella, grazie a Dio, è una storia che si può raccontare con il lieto fine dopo lo spavento.
Mancano pochi minuti alla fine del primo tempo, quando Eriksen si accascia dopo un fallo laterale. E si capisce subito che nella normalità di Danimarca-Finlandia ha fatto irruzione il dramma. Sono frammenti che si susseguono con rapidità. Il capannello. Il portiere e un altro che allontanano la folla di magliette che è accorsa. Cenni disperati per chiamare i soccorsi. Inquadrature sparse. Il massaggio cardiaco. La compagna del giocatore che si precipita sul prato. Ha la maglietta della Danimarca. Qualcuno la conforta, l’abbraccia, come prima ha protetto il suo uomo dalla calca dell’apprensione, mettendosi in ginocchio, accanto a lui, con una mano sul braccio come per dirgli: non andare, rimani con noi. Infine, mentre tutti i suoi compagni si erano disposti in schiera per nascondere gli intimi dettagli di quei momenti, lui, solo uno, con gli altri girati, ha seguito gli eventi.
Quel qualcuno è il palermitano Simon Kjaer. Lo chiamiamo così, con affetto, perché, nonostante sia danese purosangue, ha giocato anche con la maglia rosanero, dopo essere stato scovato dal naso per i talenti di Rino Foschi. E si sa che chi passa da qui una volta, se gli abbiamo voluto bene, resta palermitano in eterno. Un ragazzo schivo, serio. Un vero professionista. E un grande cuore generoso. Lui, capitano della Danimarca, si è comportato da tale. Ha protetto, è intervenuto attirando l’attenzione e dando il primissimo aiuto. Ha rassicurato, nonostante il terrore che immaginiamo. Ha consolato i suoi compagni. Ha abbracciato la compagna del suo amico, con il timore concreto di assistere a una tragedia. E poi ha giocato, a testa alta. Un uomo concentrato sul suo lavoro, Simon, giustamente riservato sulla vita privata. In una occasione, per fargli raccontare qualcosa della sua infanzia, fu necessario insistere e ‘minacciare’ di troncare l’intervista sul nascere, nel campetto rosanero di Boccadifalco.
Simon e Christian sono amici. Vivono a Milano, uno sponda rossonera e l’altro nerazzurra, e condividono molto tempo insieme, con le rispettive famiglie. Appartengono alla stirpe dei calciatori che consideriamo semidei, proiettati in vite scintillanti, oltre le fatiche di noi comuni mortali. Ma le scene a cui abbiamo assistito ieri ci dicono che non è così. Tutti abbiamo un cuore umano. Tutti siamo fragili. Tutti contiamo gli attimi di un tempo che non sappiamo quanto durerà. Ecco perché l’amicizia e l’amore sono le strade di tutti. Aspettiamo il ritorno di un ragazzo dall’ospedale, per abbracciarlo virtualmente. E tu, Simon Kjaer, se mai tornerai a Palermo, sappi che ti aspettano un caffè e un pane e panelle gratis. Pagati dall’affetto.
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13 Giugno 2021, 11:39