09 Novembre 2017, 05:24
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CATANIA – Per alcuni un sogno per altri un incubo: sono questi gli esiti delle Regionali 2017. Chi ha vinto, ha vinto. Ma chi ha perso – e sono tanti – deve fare i conti con i livelli di transaminasi nel sangue schizzati alle stelle. In testa c’è sicuramente il dem Angelo Villari, che nelle primissime ore dall’apertura dei seggi ci aveva creduto nell’aggancio ad Anthony Barbagallo mentre Sammartino aveva già firmato una fuga lunga 32mila preferenze. Alla fine della conta, però, i dati hanno parlato chiaro: quel testa a testa che ha avvelenato la campagna elettorale con tanto di frecciate su spazi pubblicitari, si è risolto nel modo peggiore possibile. In generale perde tutto il Pd a partire dal sindaco di Catania Enzo Bianco, costretto a fare i conti con l’addio di Alessandro Porto (vedi giù, nda) prima e con il magro risultato dei due candidati di riferimento: Elena Ragusa (369) e Nello Catalano (485).
Perde su tutta la linea invece il pacchetto di Alternativa popolare, lasciando fuori dall’Ars Marco Forzese (7585) e un gran mal di testa a Giuseppe Castiglione che dovrà, assieme a Pino Firrarello e Angelino Alfano, ridisegnare immediatamente la strategia per le prossime Politiche, ripartendo dal dato di Nuccio Condorelli (5510). Sorte al limite del tragico per gli uomini dell’ex Megafono confluiti nella lista di Micari Presidente: i 1709 voti di Giuseppe Caudo, l’uomo forte del crocettismo catanese valgono quanto un requiem. Tutta una delusione, come previsto, tra i cadetti di Sicilia Futura. Se per il rotto della cuffia Nicola D’Agostino ha staccato il ticket per Palermo, rispettivamente Carmelo Coppolino, Agatino Lanzafame e Andrea Messina, al momento non hanno di che festeggiare. Se a marzo, come sussurrano i retroscenisti, D’Agostino si candiderà al parlamento romano, allora si aprirà uno scenario un pizzico più allegro rispetto a quello attuale.
Forza Italia. Lo sconfitto morale (e non) è sicuramente Riccardo Pellegrino, che al di là delle polemiche sugli impresentabili, ci ha creduto fino alle fine di poter agganciare un seggio. Beffato anche Alessandro Porto, il cui riposizionamento dal centrosinistra al partito azzurro ha fruttato ben poco (5832), se non la gogna mediatica nazionale per quei manifesti tali e quali in tutto se non nel nome del presidente che hanno colorato le strade etnee. Piange con un occhio, invece, Dario Daidone: rimasto fuori dall’Ars ma con la speranza che Marco Falcone possa lasciargli lo scranno per entrare nella squadra di Nello Musumeci.
Non saranno ore bellissime invece quelle di Giuseppe Arena. Il secondo posto non basta per rientrare a Sala d’Ercole dopo cinque anni di assenza. Peccato che il progetto #Db pareva, culturalmente parlando, disegnato su di lui: ex An ed ex Mpa, ci credeva davvero nell’autonomia-tricolore tanto cara a Nello Musumeci. Al suo posto entra Giuseppe Zitelli da Belpasso. Persona perbene, per carità, peccato però che fino a qualche mese fa i bookmaker lo davano più prossimo ad una candidatura in zona Pd sponsorizzato da un Carlo Caputo in fase liberal.
Ad dir poco imprevedibile quanto accaduto in casa Fdi-Ncs, la lista più a destra dell’alleanza musumeciana. Alla fine la spunta il giovane Gaetano Galvagna (5711), uno di quelli che la campagna elettorale l’aveva iniziata parecchio in anticipo riempiendo le strade della provincia con una cartellonistica completa in tutto fuorché nel simbolo. Alla fine l’approdo nel cartello di Meloni e Salvini è arrivato con tanto di benedizione di zio Mimmo, il più irriducibile dei lombardiani versante Raffaele. Restano con la calcolatrice in mano Carmelo Nicotra (5149), enfant dell’articolismo leanziano che in ultimo ha optato per la fiamma tricolore, e il sindaco di Motta Anastasio Carrà (4659), anche lui ex articolista ma versante Sudano, successivamente conquistato dalla ricetta ordine e disciplina tanto gradita in zona Lega.
Tra chi aveva ben diritto di stare sotto le insegne della colomba bianca e chi c’è finito sotto proprio qualche ora prima delle chiusura liste, Giuanfranco Vullo paga a caro prezzo l’addio frettoloso da Rosario Crocetta e dai compagni del Pd: 2627 voti non giustificano una torsione tanto ardita. Qualche rammarico lo ha anche Pippo Giuffrida, arrivato soltanto terzo in lista dopo aver militato all’Ars prima tra i fiancheggiatori del governo uscente e poi in funzione di una tatticismo centrista che ha fruttato ben poco. Resta fuori dal “laghetto Ars”, Alfio Barbagallo che ci aveva provato in zona Udc: avrà più tempo quindi per dedicarsi ai suoi cavalli e alla sua Zafferana. A fargli compagnia Francesco Petrina, il cui passaggio dall’area Bianco a quella Musumeci, è da derubricare tra i tanti trasformismi inutili della politica catanese.
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09 Novembre 2017, 05:24