21 Maggio 2019, 19:47
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PALERMO – Filippo Bisconti fa il suo esordio da pentito in aula. Depone al processo d’appello alla mafia di Villagrazia e Santa Maria di Gesù.protetto da uno scherno di agenti.
Racconta che ha preso le distanze da Cosa Nostra di cui, dice, “non condivido certi atteggiamenti balordi”. Il suo più “grande rammarico è che la mia famiglia non ha seguito la mia scelta”. Si autodefinisce “uomo di parole sagge” che i mafiosi interpellavano “per mettere la buona”.
Bisconti, boss di Belmonte Mezzagno, conferma che era stato convocato alla riunione della nuova commissione provinciale di Cosa Nostra che si è riunita a Palermo un anno fa. Gli diedero appuntamento in via Leonardo da Vinci, “vicino a una chiesa” ma lui non si presentò. C’erano dei dissapori, poi chiariti “in un incontro” in un appartamento “vicino alla chiesa della Magione”.
“Abbiamo fatto pace”, ripete Bisconti. Rispondendo alle domande dell’avvocato Jimmy D’Azzò, che assiste gli imputati Adelfio, e del presidente della Corte d’appello Fabio Marino il neo collaboratore di giustizia parla della “costituenda commissione” di cui facevano parte Settimo Mineo, Leandro Greco, Francesco Colletti, Calogero Lo Piccolo e Gregorio Di Giovanni. Ci furono degli incontri preparatori, e ne erano previsti di nuovi, ma l’operatività della cupola sarebbe stata bloccata sul nascere. Una cosa è certa, è Bisconi lo conferma, la Nuova Cosa Nostra si era già data delle regole ferree. A cominciare dai rapporti che andavano gestiti solo dai capi mandamento per rimettere ordine, come spiega Bisconti rispondendo alle domande del sostituto procuratore generale Carlo Marzella.
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21 Maggio 2019, 19:47