06 Giugno 2019, 11:27
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PALERMO – Per i commercianti di Carini era necessaria una “licenza” da parte della famiglia mafiosa: senza il loro “benestare” non era possibile aprire un’attività e, ancora una volta, il meccanismo venuto a galla, è quello che si basa sulle estorsioni. Sono diversi gli episodi emersi durante le indagini che hanno portato la Dda e la squadra mobile a nove arresti per mafia a Carini, ma non c’è stata la collaborazione delle vittime.
A precisarlo sono il capo della squadra mobile di Palermo, Rodolfo Ruperti e il dirigente della sezione Criminalità organizzata, Gianfranco Minissale: “Non ci sono state denunce, non abbiamo ricevuto alcuna forma di collaborazione da parte dei titolari delle attività e degli imprenditori della zona. La pressante attività estorsiva – sottolineano -emerge esclusivamente dalle attività tecniche di indagine”.
A svelare su cosa si basava il business della cosca, le microspie che hanno immortalato i boss mentre discutevano delle richieste di pizzo nei confronti di coloro che dovevano aprire nuove attività. “Le estorsioni sono diffuse – precisa Minissale – ma non siamo riusciti a identificare singoli episodi. Nonostante ciò, l’attività emerge chiaramente dalle intercettazioni, soprattutto in base ai discorsi legati al denaro e al suo passaggio derivante dal racket”.
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06 Giugno 2019, 11:27