27 Gennaio 2018, 19:47
3 min di lettura
CATANIA – Il messaggio doveva essere sempre lo stesso. Così chi lo riceveva sapeva chi lo aveva inviato: il clan Santapaola-Ercolano. “Prepara 200 mila euro subito, trovati un amico oppure salti in aria”, questa la frase intimidatoria che i soldati del pizzo lasciavano in diversi cantieri dell’hinterland etneo. Il pizzino alcune volte era accompagnato da una bottiglia incendiaria e da una catena (o un lucchetto) e doveva servire per agganciare le vittime. Il primo avvertimento, insomma.
Un modus operandi ben rodato e che viene ricostruito grazie agli esiti dell’inchiesta Carthago 2. A confermarlo è Salvatore Bonanno, pentito dell’ultima ora, che ha deciso di entrare nel programma di collaborazione della giustizia poco dopo l’arresto nel blitz. Le sue rivelazioni, depositate nel processo abbreviato, sono state esaminate nel corso della lunga requisitoria del pm Rocco Liguori che ha chiesto al Gup Giancarlo Cascino per Salvatore Bonanno una condanna a tre anni di reclusione.
Gli inquirenti riescono a bypassare il circuito chiuso creato per le comunicazioni e intercettano centinaia di sms da cui sono stati accertati diversi tentativi di estorsioni e ricostruiti quelli in essere, anche da quasi un decennio. A dicembre 2015 vengono captati una serie di messaggi scambiati da Salvatore Bonanno, Vito Romeo e Carmelo Di Stefano in cui si parla delle somme da riscuotere da “quello della luce”. E ad un certo punto arriva una strana preoccupazione tra gli esattori del pizzo, perché hanno saputo che “quello della luce” era andato dai carabinieri. Le indagini portano a scoprire che l’azienda a cui si riferivano i messaggi era la Simei, società da qualche tempo fallita, che si occupava di illuminazione pubblica. Ma i santapaoliani però si preoccupano inutilmente, perché Gianluca Chierieleison era stato dai carabinieri in piazza Verga ma non per denunciare le estorsioni ma per consegnare una registrazione che poi porterà ad aprire un’indagine su una transazione tra il Comune di Catania e la Simei.
Dagli sms si riesce a comprendere anche chi sono le menti criminali. “Lupen, Cicciolina e Gabibbo”, sono i tre nomi che si ripetono nei messaggi che si scambiano i soldati del pizzo. I carabinieri comprendono – e poi viene confermato anche da Bonanno – che i nomi in codice si riferivano rispettivamente a Marcello Magrì, Francesco Santapaola e Rosario Lombardo. I tre che sono ritenuti, in quel periodo storico, i boss di riferimento della cosca. Le date degli sms arrivano fino ad aprile 2016. Pochi giorni prima dei fermi dell’operazione Kronos che decapita la cupola di Cosa nostra della Sicilia orientale. Un sistema quello dei messaggi, che presenta molti limiti e può portare anche ad alcuni equivoci. Ma alcuni riferimenti precisi incrociati con le denunce presentate dai titolari dei cantieri, l’analisi di alcuni sistemi di videosorveglianza hanno permesso di localizzare le imprese nel mirino a Trecastagni, Gravina di Catania e Mascalucia. Il pentito Bonanno non ha solo confermato quanto già emerso dalle indagini “ma ha raccontato altre cinque condotte estorsive”, ha spiegato il pm durante la discussione nell’aula bunker di Bicocca.
E’ stato inutile poi il tentativo di Vito Romeo (la sua posizione sarà affrontata nella prossima udienza) che dopo l’arresto aveva presentato un memoriale dove si addossava tutta la colpa sulle estorsioni. Una strategia mafiosa che è emersa subito dalle intercettazioni in carcere nel corso di alcuni colloqui. Ma che poi si è completamente sgretolata quando Salvatore Bonanno ha deciso di collaborare con la magistratura. Vito Romeo aveva scagionato anche lui. Non poteva certo aspettarsi che l’esattore del pizzo stava meditando di pentirsi.
Pubblicato il
27 Gennaio 2018, 19:47