07 Aprile 2024, 07:20
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Tra il 6 e il 9 giugno milioni di europei saranno chiamati al voto, “parteciperanno a plasmare il futuro della democrazia europea in occasione delle elezioni europee”. Sì, d’accordo, ma poi? Se Califano fosse ancora vivo la direbbe così, nuda e cruda, condensando in quella parola e in quelle famose note il sentimento della gente. Che noia!
La gente non va più a votare. E non ci va più, non perché è sfiduciata, arrabbiata, delusa ma semplicemente perché è annoiata. Da una politica sempre più individualista, dai fiumi di parole incomprensibili, trascinate un po’ a casaccio e un po’ no da carsiche correnti di partiti/aziende che non mediano più, di politicanti incapaci di affrontare i veri problemi d’ogni giorno. E i manifesti coi bei faccioni, piuttosto che le luminescenti wozzappate, le comparsate televisive, i post su Facebook: sempre le stesse facce, sempre le stesse cose, sempre le stesse frasi fatte.
Sempre la stessa noia. Che a volte si compra, si compra anche quella: 50 euro, una bombola del gas e non siamo più niente. Una noia che diventa mortale (e magari più cara… non sia mai!), quando si è chiamati alle urne per esprimere un voto per l’elezione al Parlamento europeo. E sì perché, se ancora ancora il voto “vicino” (che so io, per il Consiglio comunale o per le regionali) viene da alcuni esercitato come un voto utile e da altri – ahimè – come un voto utilitaristico, più ci si allontana da casa propria e più aumenta quella noia strisciante, che è disinteresse, è diffidenza imbelle, è rassegnata inedia, è “tanto, chi sale sale …”.
Quindi, figuriamoci con quanta uggia il popolo italiano, l’8 e 9 giugno, si recherà alle urne e quanta parte consistente di esso se ne terrà a distanza. Forse perché non lo sa; rectius, forse perché non gl’interessa più saperlo. Che il voto è sacrosanto! È preziosissimo… altro che 50 euro! Che il voto è tutto quello che ci rimane tra il silenzio di chi subisce arrendevolmente e il tuono di chi strepita inutilmente. Che il voto è un diritto-dovere costituzionale, conquista di civiltà e di libertà. Ed è un gesto di grande responsabilità, perché – la dico con le parole di Montesquieu – non c’è nulla di più pericoloso per il bene pubblico quanto l’apatia del cittadino in una democrazia.
Proviamo allora a contrastarla, questa apatia, affinché l’apatico partito di maggioranza assoluta – il partito degli apatici astensionisti – perda qualche punto percentuale e prevalga la partecipazione. Insomma, votate per chi vi pare, ma andate a votare. Perché votare per le elezioni europee non vuol dire fare “acchianare” questo o quell’altro, fare da spettatori paganti a film già visti dove lotte interne e competizioni fratricide e pernacchie e sassolini nelle scarpe scandiscono fortune e sventure, ascese e precipizi, futuri rosei oppure incerti. Non vuol dire regalare punti in più a questo o a quel leader. No.
Vuol dire qualcosa di più. Vuol dire votare per le nostre vite, per la nostra quotidianità e, che ci crediate o no, per il nostro futuro. Lo so, il “sentiment” generale è che mandiamo lì gente fortunata (eufemismo), a scaldare avveniristiche poltrone azzurre e ad incassare generosi bonifici a fine mese. Ma la verità è un’altra. Se il nostro carburante sarà la piena consapevolezza di quanto quel nostro voto potrà essere strumento anziché strumentale, di quanto cosa buona e giusta sia non rassegnare le armi perché rassegnati a rappresentanti da cui non ci sentiamo rappresentati, allora quella consapevolezza imporrà un’altra verità; e noi, comunque, avremo fatto la nostra parte. La verità di una istituzione democratica che – predisse Mazzini – accomuna popoli indipendenti in una missione interna, quella di costituire un vero potere democratico europeo.
Dovremo “deputare” coloro che regolamenteranno le nostre vite: il sostegno all’economia, la lotta contro la povertà, il cambiamento climatico, le questioni legate alla sicurezza, alla migrazione, ai diritti dei consumatori. Questo è l’Europa. È una moltitudine di decisioni su una moltitudine di materie che ci riguardano da vicino. Che poi le decisioni siano più o meno appannaggio del nostro Paese, e della nostra regione, dipende dalla politica e dai suoi interpreti: dipenderà, in questo caso sì, da chi manderemo lì (e non parlo di colori, bensì di spessori). Ma è indubbio che l’Europa sia il luogo da cui passano le decisioni su un buon 75 per cento delle cose locali.
Quindi, l’appello è: andate a votare. E votate con consapevolezza. Perché c’è un rischio, per il bene pubblico, ancor peggiore dell’apatia del cittadino ed è la cecità dell’elettore che è figlia dell’ignoranza, nipote del menefreghismo, parente stretta dell’illusione d’un bisogno quanto prima soddisfatto. Quando non è madre degenere di quelle 50 euro… Andate a votare, per la gestione del flusso dei migranti, per una maggiore cooperazione con i Paesi di provenienza, per la redistribuzione delle quote tra i vari paesi europei. Per Lampedusa, il cui hotspot è una continua pentola a pressione pronta a scoppiare.
Dobbiamo difendere, e non darlo mai per definitivo, il concetto della libera circolazione di merci, servizi e capitali all’interno del territorio europeo: per la complicata questione dei vincoli di bilancio definiti dall’Europa (il cosiddetto Patto di stabilità), che erano stati sospesi nel 2020 per affrontare le ricadute negative della pandemia; una deroga che è scaduta nel gennaio del 2024, una scelta che mette in discussione la tenuta dell’economia italiana, specie per quanto concerne la spesa corrente, che tornerà a subire limitazioni, pur nell’impossibilità di un ritorno alle logiche dell’austerity.
Per la transizione ecologica, per i cambiamenti climatici e, consentitemelo, per un Green deal che non sia troppo verde e non ci lasci troppo al verde. Per l’innovazione delle nostre imprese, per la competitività internazionale, per sburocratizzare questo elefante blu a stelle dorate, il cui bizantinismo incide, e non poco, su moltissimi aspetti della nostra vita quotidiana. Per la politica monetaria della BCE, le cui scelte non sono poi così lontane dalle nostre case, quelle che abbiamo acquistato a suon di mutui e sacrifici.
Per le regole fiscali, che siano le più flessibili possibile. Per la Global minimum tax a carico delle grandi multinazionali (finalmente!). Per i salari. Per la promozione e la difesa del Made in Italy e per la lotta alla delocalizzazione selvaggia. Per il contrasto alla concorrenza sleale e al “sottocosto cinese”. Per le nostre arance, il nostro olio, le nostre coltivazioni, il nostro pescato. Per quei trattori in strada, per la gestione dei fondi europei semplificata. Le start up, i microcrediti e gl’interventi per l’occupazione giovanile. La ricerca. Internet. La protezione dei nostri risparmi. Gli acquisti on line sicuri, i diritti dei viaggiatori.
Siate consapevoli che il vostro voto deciderà quali deputati al Parlamento europeo vi rappresenteranno nell’elaborazione delle nuove leggi e influenzeranno l’elezione della Commissione europea. Decisioni che plasmeranno la vita quotidiana di tutti quanti. E sì. Andate a votare, per la democrazia! No, non voglio annoiarvi. E no che non è uno slogan. La democrazia non lo è mai stata e ancor meno lo è oggi. In un mondo sempre più complesso, l’Unione europea si occupa di sfide globali che nessun Paese può affrontare da solo, prima tra tutte la difesa della democrazia.
La democrazia non deve mai essere data per scontata. È un traguardo collettivo, una responsabilità comune in cui tutti noi abbiamo un ruolo da svolgere. Puoi essere filo putiniano o amico degli ucraini, puoi simpatizzare per Ursula o sperare che non venga rieletta, puoi pensarla come ti pare su Gaza ed Israele, sul Corano e sui sionisti, sul Ramadan e sulle ONG, su Biden e Assange … ma non possiamo non essere tutti filo europei (nel senso più “territoriale” e meno politico del termine), perché più forte è l’Europa e più forti saranno i principi fondativi dell’Unione, inevitabilmente minacciati dai venti di guerra che soffiano a due passi da noi, dove il voto è una chimera, se non una presa per il minCULpop.
Del resto, i padri fondatori – De Gasperi, Schuman, Monnet, Louise Weiss, lo stesso Churchill, Marga Klompé, Adenauer – non furono mossi che da questo: la pace, l’unità e la prosperità in Europa. Ed era tutta gente “con le spalle bruciate” non solo dalle ceneri nazi-fasciste, ma anche dal fuoco imperialista che ardeva ancora nel crogiolo d’una guerra freddissima. Era gente che sentiva forte la necessità di un unicum politico territoriale e culturale, che assicurasse stabilità tout court. Perciò andate a votare, perché più unita è l’Europa più forte è l’argine al rischio di disgregazione su vasta scala, che abbiamo già sperimentato a cosa possa condurci.
Abbiamo bisogno di unione, non di blocchi! E – mi sia consentito- abbiamo bisogno di parlamentari europei, non di burattini campioni di voti, di leader con l’ansia del gradimento. Votate per i più bravi, che siano di destra, di centro o di sinistra, va bene lo stesso, purché siano i più bravi. In fondo, è a loro che spetta l’arduo compito di farci scoprire quello che Marcello Veneziani definisce il “patriottismo europeo”; senza che questa espressione debba per forza avere una qualche connotazione di parte.
Essere euro patrioti oggi, a mio avviso, significa aspirare a una Europa non più degli eurocrati, ma dei cittadini europei. È, anzi, superare in qualche modo gli eccessi nazionalistici che tendono a mantenere l’Europa ancorata alla sua dimensione di vecchio continente formato da tanti diversi stati. Anche perché gli eventi degli ultimi anni, pandemia e guerra in Ucraina su tutti, hanno inevitabilmente spinto verso scelte condivise, verso una Unione Europea di nome e di fatto. Si pensi alla formazione di un debito comune con il Recovery fund; all’azione coesa in ambito sanitario con gli acquisti collettivi dei vaccini; all’inserimento di elementi sovranazionali di organizzazione della difesa, soprattutto con la condivisione degli aiuti militari a Kiev.
Tuttavia, perché questi “semi di sovranità europea possano crescere e diventare un albero robusto” è necessario che l’Unione abbandoni progressivamente gli accordi e i veti tra gli Stati, trasferendo poteri verso le istituzioni condivise, e ripensi la governance della moneta unica dotandosi di un bilancio comune. Ecco, anche per questo a giugno saremo chiamati a votare. Vi sembra poco? Vi sembrano cose astruse, lontane, che sanno di solita solfa? A me no. Perciò andrò a votare e non perché sono una persona politicamente impegnata, ma perché voglio mantenere l’impegno civico di cittadino responsabile. Un cittadino europeo.
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07 Aprile 2024, 07:20