30 Giugno 2020, 06:42
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PALERMO – I nomi sono quelli di sempre. Nel blitz fra le Madonie e i Nebrodi, che nella notte ha colpito il mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, spicca il nome di Domenico Mico Farinella, È uno degli undici fermati dai carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo e della compagnia di Cefalù, su ordine del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dell’aggiunto Salvo De Luca e dei sostituti Bruno Brucoli e Gaspare Spedale della Direzione distrettuale antimafia (GUARDA LE FOTO DEI FERMATI). Il boss Farinella, dal soggiorno obbligato di Voghera, dove viveva dopo la scarcerazione dell’anno scorso, avrebbe gestito il mandamento.
Il provvedimento di fermo è dettato dalle esigenze cautelari urgenti e per bloccare l’oppressione mafiosa subita, secondo l’accusa, da undici commercianti. Due di loro hanno denunciato spontaneamente.
Tra i fermati anche il figlio di Mico, Giuseppe, che porta il nome del nonno, storico boss delle Madonie e componente della commissione di Cosa Nostra, morto il 5 settembre 2017 nel carcere di Parma. Padre e figlio avrebbero guidato il mandamento anche quando Mico Farinella era detenuto in regime di alta sicurezza riusciva a dettare gli ordine dal carcere.
Mico Farinella, fedelissimo dei corleonesi di Totò Riina, torna in carcere appena un anno dopo la sua inaspettata liberazione. Nell’aprile dell’anno scorso un ricalcolo della pena aveva consentito al boss di evitare l’ergastolo che gli era stato inflitto per la somma di alcune condanne e di tornare in libertà dopo quasi 27 anni di carcere. In cella c’era finito nel 1994. Oggi ha 59 anni.
Mico Farinella era stato condannato per un omicidio, per associazione mafiosa ed estorsione. Per lui i primi guai con la giustizia cominciarono a 20 anni, quando a Palermo aggredì il titolare di un pub per una bottiglia di champagne non pagata.
Il suo avvocato l’anno scorso è riuscito a far valere un indulto, un periodo di tre anni che è stato detratto da una delle pene e che ha cambiato il corso giudiziario. La Procura generale aveva fatto ricorso contro la scarcerazione decisa dai giudici della Corte d’assise. Il principio del “cumulo” prevede, nel nostro ordinamento, una pena massima di 30 anni; tranne quando s’incorre in due condanne a 24 anni. In questo caso la pena viene commutata nell’ergastolo. La difesa ha dimostrato che in una condanna del 2002 era stato applicato l’indulto, grazie al quale l’imputato aveva ottenuto uno sconto id pena di tre anni, facendola scendere sotto il limite di 24.
Dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia verrebbe fuori che nonostante fosse detenuto nel carcere di Voghera in regime di alta sicurezza Mico Farinella sarebbe riuscito ad impartire gli ordini al figlio. Giuseppe Farinella sarebbe diventato l’alter ego del padre sul territorio. Oltre ai fermi è anche scattato il sequestro di un’agenzia di scommesse che i Farinella avrebbero gestito nel rione palermitano Santa Maria di Gesù e di un’attività di prodotti sanitari a Finale di Pollina, il cui valore viene stimato in un milione di euro. È a Santa Maria di Gesù che Giuseppe Farinella vive, è qui che i Farinella hanno messo radici, frutto anche del matrimonio con una donna di casa Pullarà, la potente famiglia mafiosa del mandamento palermitano.
Sono undici le estorsioni, tentate o consumate, su cui i carabinieri hanno fatto luce. In alcuni casi c’è stata la denuncia spontanea degli imprenditori che dopo un plateale diniego alla richiesta estorsiva sono andati senza esitazioni in caserma. Altri hanno confermato i tentativi di imposizione del pizzo una volta convocati dai militari, agli ordini del comandante provinciale Arturo Guarino.
I reati contestati, oltre all’associazione mafiosa ed estorsione, sono anche trasferimento fraudolento di beni, corruzione, violenza privata, furto aggravato e danneggiamento. Dalle investigazioni è emerso in maniera chiara che l’attività estorsiva, strumento attraverso il quale l’organizzazione esercita il controllo sul territorio – spiega il comandante provinciale dei carabinieri di Palermo, Arturo Guarino – continua ad essere una forma di sostentamento primario per il sodalizio mafioso”.
Nonostante la giovane età, Giuseppe Farinella, 25 anni, avrebbe avuto il compito di coordinare gli altri uomini d’onore, d’intesa cooperando con uno storico mafioso di Tusa (il mandamento di San Mauro Castelverde comprese anche una parte della provincia messinese). Sarebbe stato sempre il giovane Farinella a gestire i contatti Filippo Bisconti, già capo del mandamento mafioso di Belmonte Mezzagno, ora collaboratore di giustizia.
Alle vittime era imposto di pagare il pizzo o di acquistare forniture di carne da una macelleria di Finale di Pollina gestita da Giuseppe Scialabba, considerato braccio destro di Giuseppe Farinella. Le ingerenze mafiose si erano manifestate anche nell’organizzazione dell’Oktoberfest del 2018 a Finale di Pollina, quando, per impedire la partecipazione alla sagra di un commerciante che non si era piegato alle imposizioni del clan, gli indagati non avevano esitato a devastargli lo stand. Con la libertà riottenuta nell’aprile 2019 Mico Farinella avrebbe dato l’ordine di intensificare la raccolta delle estorsioni. GUARDA IL VIDEO
“Perché sono i numeri uno del paese… non si è pentito nessuno… qui non si pente nessuno…”, diceva uno degli intercettati. Che aggiungeva con orgoglio: “… non si pente nessuno qua… San Mauro numero uno… perché mi voglio vantare San Mauro e Corleone”. Non ci sono collaboratori di giustizia né a San Mauro Castelverde, né a Corleone.
Domenico Farinella, 59 anni, Gioacchino Spinnato, 68 anni, Giuseppe Farinella, 27 anni, Giuseppe Scialabba, 35 anni, Francesco Rizzuto, 51 anni, Mario Venturella, 57 anni, Antonio Alberti, 46 anni, Rosolino Anzalone, 57 anni, Vincenzo Cintura, 47 anni, Pietro Ippolito, 59 anni, Giuseppe Antonio Dimaggio, 63 anni.
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30 Giugno 2020, 06:42