12 Gennaio 2013, 08:53
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Raccontaci questo nuovo progetto che ti vedrà protagonista di una personale a Pechino
Che idea ti sei fatto della Cina artisticamente parlando?
“È una nazione talmente grande! Pechino è una città che sta crescendo notevolmente e in questa fase, nonostante ci siano parecchi paradossi dettati da secoli di storia vissuta, i cinesi hanno capito che investire nell’arte significa perseguire un obiettivo molto alto. Ho la percezione che stanno puntando molto su quest’ambito consapevoli che, in tal modo, riusciranno anche ad incrementare il loro valore economico. Ma Pechino non è soltanto la città dei pechinesi, è la città che attrae più provenienze, più interessi, più operatori nel settore dell’arte contemporanea: gallerie provenienti dall’Europa, dagli Stati Uniti, dall’Italia e anche spazi indipendenti no profit come Lab Yit – Italian contemporary art platform in China – di Cecilia Freschini con cui realizzerò il mio progetto”.
Pensi che l’abbiano capito meglio di noi?
“Non credo sia un problema di capire meglio o peggio. Loro lo stanno percependo adesso, nonostante noi vantiamo un patrimonio artistico antico e variegato. Ma se tu possiedi una macchina di un certo valore e non la alimenti adeguatamente, che senso ha averla? Una parte degli artisti cinesi importanti non lavora più solo nel luogo in cui è nato, si è aperta al mondo consapevole che l’arte rappresenta un valore aggiunto. La nostra penisola ha un grosso problema: non investe in cultura. E tralaltro c’ è da chiedersi: quanto valore ha l’arte e, per di più, quella contemporanea italiana nella vita delle persone e nell’immagine del Paese all’estero? Il nostro sistema è tremendamente carente su più fronti, a dispetto di altre piazze estere in cui esistono opportunità e in cui gli artisti vengono realmente sostenuti e soprattutto riconosciuti tali”.
Al di là dell’aspetto artistico, quest’esperienza in che modo ti ha fatto riflettere?
“Il modus vivendi pechinese mi ha fatto parecchio pensare. La possibilità, ad esempio, di scambiarsi un sorriso, cosa ormai assolutamente rara dalle nostre parti. Ho l’impressione che la nostra società sia diventata introversa, distaccata, indifferente a ciò che accade a chi ci sta accanto, palesemente individualista ed effimera. Nella capitale cinese ho constatato l’esistenza di un popolo realmente estroverso: le ragioni sono davvero complesse, ma in superficie si può notare che la gente tende ad aggregarsi, a socializzare, a mangiare insieme o a discutere in qualunque momento della giornata. Si ha la sensazione che le persone vogliano riappropriarsi della libertà, degli spazi, per condividere quel senso di nuda vita che, a prescindere dalle categorie meramente politiche, dovrebbe contraddistinguere tutti i popoli”.
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12 Gennaio 2013, 08:53