04 Ottobre 2008, 11:42
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Il problema di Miccoli è la convivenza forzata con Fabrizio. Miccoli (si può pronunciare pure Miccolì, come Platini) ha idee meravigliose e audaci.
Un giorno decide di segnare al Catania, passando per l’unico pertugio utile della barriera. Un’altra volta, salta Cirillo – che è perfino più “moviola” di un lumacone obeso – si accentra. A quel punto quasi tutti i bipedi terrestri avrebbero tirato, cercando la fessura sul primo palo, o la botta sotto la traversa. Miccolik – altro eteronimo – che ti pensa? Si accentra ancora, lui che è prevalentemente destro, fino a portarsi la palla sul sinistro. Lo stadio trattiene il respiro: spara di sinistro? Dio, che ciofeca… Invece, el Pibe del Salento tocca appena con la punta esterna della scarpa destra.
Risultati in serie: parabola malefica, lo stadio che balza in piedi, Campagnolo che ancora cerca il pallone e si chiederà a lungo dove mai sia finito l’attrezzo dissolto, nel breve volo d’angelo di un fuoriclasse. Miccoli, Miccolì, Miccolik rappresentano la trinità gioisa del Grande Spirito Ludico che non ha tempo per le minuzie mortali. La fantasia vola, inventa, sogna. È fantastica proprio per questo.
Ma il problema è il corpo, l’altro commensale, l’ombra di Banquo della storia. Miccoli decolla. Fabrizio atterra. Miccoli salta. Fabrizio si fa male. Miccoli scatta. Fabrizio, in certe fasi della partita, corricchia come un coniglietto col pannolone. Lo Spirito deve pur misurarsi con le esigenze e i latrati della carne. Con tutti quei minuscoli e fastidiosi doloretti, strappetti, stiramentini, malesseri, che finiscono per logorare il talento, quando non lo sconciano, come capita sovente al Romario rosanero. E proprio su questa lunga serie di acciacchi, di solito, si appuntano i rimbrotti dei tifosi nelle giornate di vacche magri e palloni anoressici. E pensare che Fabrizio e Miccoli, un tempo, erano grandi amici. Sono nati insieme sui campetti dell’infanzia, quelli pietrosi e aridi che dissetano la voglia di emergere di un ragazzo della Via Sud. Sono cresciuti a pane e Maradona. E come è accaduto per Diego Armando e Maradona, alla fine, anche Fabrizio e Miccoli si sono separati. Nel caso della stella argentina, il genio con le ali è stato affondato da un corpo disciolto nel vizio e nell’errore. È molto più dolce l’Apartheid di cui stiamo parlando, la cesura tra le immense possibilità di un fuoriclasse allo stato puro e il palcoscenico avaro che i muscoli gli hanno fin qui concesso. L’auspicio è che questo sia l’anno giusto della pace e del ritrovamento dei vecchi fratelli siamesi. Lo splendido gol con la Reggina può essere il sigillo sulla speranza pallonara. Fabrizio e Miccoli sono già tornati a essere una cosa sola, nell’armonia di un fisico capace di dare di più alla fantasia che lo governa. Mai più due. Uno. Fabrizio Miccoli. Per cancellare Amauri e tutti i suoi nomi brasiliani.
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04 Ottobre 2008, 11:42