Facebook e il difficile equilibrio |tra regole e innovazione - Live Sicilia

Facebook e il difficile equilibrio |tra regole e innovazione

Social network e libertà di pensiero: l'intervento del presidente dell'Antitrust.

Tra le notizie che ieri hanno occupato le prime pagine dei giornali vi era il riconoscimento, da parte del Tribunale di Napoli, della responsabilità di Facebook per non essersi attivato per impedire l’ulteriore diffusione dei link che hanno determinato la divulgazione on line di video hard di una giovane donna, senza il suo consenso, rovinandole la vita e portandola al suicidio.

Questo caso drammatico evidenzia il ruolo cruciale che hanno le piattaforme digitali nella diffusione dell’informazione nelle nostre società e come esse siano i sostanziali gatekeepers (“portieri”) dell’informazione che corre nel web. Come le piattaforme digitali devono svolgere questo ruolo e quali possono essere le conseguenze sulla nostra vita individuale e collettiva?

La domanda investe non soltanto la sfera del rapporto tra libertà del pensiero e tutela della privacy individuale, ma anche quella della formazione del discorso pubblico e del condizionamento che motori di ricerca e social networks possono esercitare sui risultati elettorali. Proprio nei giorni scorsi la cancelliera Angela Merkel, nel corso di una conferenza sui media a Monaco, ha detto che gli algoritmi usati dalle principali piattaforme (come Google e Facebook) per presentare agli internauti l’informazione, possono portare ad una distorsione della percezione da parte degli utilizzatori di internet. Perciò la Signora Merkel ha richiesto alle tech companies di essere più trasparenti sul modo in cui i loro algoritmi sono costruiti.

Il problema sollevato è tremendamente serio in un mondo in cui sempre più persone per avere informazioni e formarsi un’opinione utilizzano – spesso in modo esclusivo – i motori di ricerca o i social media. Negli Usa il 44% degli adulti e il 61% dei millenials leggono notizie e commenti solamente su Internet. Di fronte alle innumerevoli scadenze elettorali che, nei prossimi mesi, ridefiniranno il volto delle democrazie occidentali, la questione di come si forma l’opinione degli elettori non può essere sottovalutata, specie in presenza delle sfide lanciate dai vari movimenti populisti, antieuropei, antiglobalizzazione, e dalla radicalizzazione della lotta politica (resa particolarmente manifesta dallo scontro Clinton/Trump).

La questione sollevata ha due aspetti principali. Il primo riguarda la filter bubble (“bolla di filtraggio”, termine coniato dall’attivista Internet Eli Pariser) che è determinata da quegli algoritmi che permettono la personalizzazione dei risultati di ricerche su siti che registrano la storia del comportamento dell’utente. In particolare, molti osservatori citano l’esempio di Facebook che sfrutta degli algoritmi per definire i contenuti che siano di maggiore interesse per un determinato utente, in relazione ai suoi gusti ed alle sue attitudini, in modo tale che siano questi ad essere visualizzati nella timeline di ogni utente. Analogamente, altri osservatori fanno rientrare nello stesso fenomeno la personalizzazione delle ricerche sul motore di ricerca Google, e altre forme di “filtraggio” dei contenuti sempre più diffuse.

Questa informazione costruita su misura dell’utente di internet può essere un vantaggio quando lo vediamo nei panni del consumatore, ma tutto cambia quando lo riguarda nelle vesti di cittadino di un sistema democratico. Perché quest’ultimo richiede l’esposizione a idee, valori, opinioni diverse e anche conflittuali, mediante la quale il cittadino possa formarsi un’opinione e anche cambiare idea. Un sistema di comunicazione non richiede soltanto che sia rispettata la libertà della scelta individuale (escludendo forme di censura da parte del potere pubblico), piuttosto per essere non solo al servizio del consumatore ma anche del cittadino richiede la presenza di un forum pubblico i cui si confrontino liberamente idee diverse ed a cui siano esposti tutti i cittadini, anche quelli che la pensano diversamente da coloro che momentaneamente manifestano il loro punto di vista. Oggi esiste il grande pericolo che l’utente di internet resti prigioniero dei propri pregiudizi e si rafforzi nei propri convincimenti perché non accede a nessuna idea e a nessun commento diversi da quelli provenienti dalla cerchia di persone che la pensano come lui.

L’altro aspetto importante riguarda il modo in cui un motore di ricerca indicizza e ordina i risultati di una ricerca. I motori di ricerca sono i veicoli principali per trovare l’informazione, gli utenti pensano che i risultati così ottenuti siano affidabili e neutrali, ed essi utilizzano principalmente i link che si trovano nella prima pagina della ricerca (circa il 90% degli utenti si ferma alla prima pagina) e in particolare quelli che si collocano ai primi posti. Ma quali sono i costi per la democrazia se l’algoritmo è congegnato in modo che le informazioni siano presentate in maniera tale da favorire non tanto l’interesse degli utilizzatori di Internet ma l’agenda politica dei giganti del web?

Possiamo assistere inerti agli effetti indotti dalla rivoluzione digitale, oppure possiamo cercare di trovare i modi per godere dei tanti vantaggi che essa porta all’umanità ed al contempo contrastare i grandi rischi che pure essa sprigiona. In questa seconda prospettiva si colloca la ridefinizione del regime giuridico della libertà di informazione nell’era del web. Ma affinché la regolazione non blocchi l’innovazione e vanifichi i tanti benefici che abbiamo tratto dallo sviluppo di motori di ricerca e social media, probabilmente la via migliore da percorrere consiste nel ricercare la collaborazione tra autorità pubbliche e tech companies, e nel trovare un equilibrio tra una regolazione pubblica leggera ed un’efficace autoregolazione degli attori di internet.


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